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Riforme, pressing Pd: «Chi le ostacola non fa il bene…

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l’impasse sul ddl

Riforme, pressing Pd: «Chi le ostacola non fa il bene dell’Italia, non farle significa mettere fine alla legislatura»

I dati dell’Inps sul lavoro - 250mila lavoratori stabili in più negli ultimi sei mesi - sono l’appiglio che aspettava il Pd. Il segretario premier Matteo Renzi li commenta, appena diffusi, con un tweet: «Siamo sulla strada giusta contro il precariato e il Jobs Act è un’occasione da non perdere, soprattutto per la nostra generazione». E così dà la stura ai suoi, dai vicesegretari Serracchiani e Guerini al responsabile economico Taddei, fino ai capigruppo, che si scatenano ripetendo quasi all’unisono un unico messaggio: le riforme funzionano, chi le ostacola fa il male dell’Italia. Fino alla minaccia del voto, che arriva con nettezza ai microfoni di SkyTg24 dal vicepresidente Pd Matteo Ricci: «Non mandare avanti le riforme costituzionali significa mettere termine a questa legislatura».

Zanda: «Avanti sulle riforme senza divisioni»
Ufficialmente l’attacco è rivolto alla Lega e ai suoi 510mila emendamenti depositati in commissione. «Sono questi i numeri che interessano il governo e il Pd», dice il responsabile economico del Partito democratico Filippo Taddei a proposito dei dati dell’Inps. «È la differenza tra chi si impegna per far aumentare il lavoro nel Paese e chi perde tempo presentando una valanga di emendamenti per bloccare il lavoro del Parlamento. Il precariato del mercato del lavoro italiano non è ancora sconfitto ma questi sono, dopo molti anni, i primi dati che segnalano un cambio di direzione». Interviene il capogruppo dem a Palazzo Madama, Luigi Zanda: «È sconfortante che davanti alla necessità di consolidare gli incontrovertibili segni di ripresa, il Parlamento debba trovarsi di fronte alla presentazione di mezzo milione di emendamenti alla riforma costituzionale». Alt ai «profeti di sventura», gli fa eco il presidente dei deputati Pd Ettore Rosato. Zanda aggiunge: «L’unica strada che ha l’Italia per far avanzare questo trend positivo è proseguire risolutamente senza divisioni sul percorso delle riforme. La crisi ha avuto effetti sociali devastanti e per batterla serve una grande unità nazionale».

I dissidenti dem: «Senato elettivo o niente»
Un appello in piena regola, non certo alla Lega ma a quella minoranza del Partito che chiede la modifica dell’articolo 2 del disegno di legge costituzionale per introdurre il Senato elettivo. Senza scorciatoie, come l’ipotesi dell’elezione semidiretta con un listino ad hoc lanciata proprio da Zanda sul Sole 24 Ore due giorni fa. L’ala dura dei 28 dissidenti che hanno presentato 17 emendamenti al ddl non demorde. «Renzi non ascolti i cattivi consiglieri e apra al Senato elettivo», afferma il senatore Federico Fornaro. «Ne uscirebbe vincitore insieme al Pd così come avvenne con l’elezione a presidente della Repubblica di Sergio Mattarella». Vannino Chiti domanda: «Si vuole un compromesso dignitoso e condiviso? Ci sono due strade: modificare l’articolo 2, scrivere in Costituzione che i senatori sono eletti dai cittadini in concomitanza con il voto delle regionali, affidare il resto a una legge ordinaria. Oppure realizzare il Bundesrat ma in modo serio e vero. Gli imbrogli tipo Senato semi elettivo o simili lasciamoli al senatore Quagliariello».

Manconi è il primo dei 28 a chiamarsi fuori
Ma il fronte della minoranza comincia a scricchiolare. Il primo dei 28 a chiamarsi fuori è Luigi Manconi: «Mi auguro che si sappia tutti tenere a bada l’irresistibile pulsione scissionista che percorre da sempre la sinistra italiana. Ma se evitare la scissione è responsabilità di tutti, il compito fondamentale di garantire l’unità del partito è di Renzi. Dunque trattare, negoziare, mediare». Ma Manconi è chiaro: «Per parte mia, ho sottoscritto gli emendamenti presentati dalla minoranza, ma certo non sono interessato a sommare il mio voto a quelli degli xenofobi e dei reazionari di destra e di sinistra».

Fi chiude, i fittiani aprono
Se Forza Italia continua a tenere il punto - «sì» alle riforme, dicono Brunetta, Gasparri e Santanché, se Renzi accetterà di reintrodurre il Senato e il premio alla coalizione nell’Italicum - un’apertura al Governo arriva dai fittiani. «Noi per principio siamo per l’elezione diretta», dice Cinzia Bonfrisco, presidente dei dieci senatori del gruppo Conservatori e riformisti. «A noi però interessano tutte quelle questioni, ad esempio economiche, fin qui dimenticate in presenza del patto del Nazareno. Quello che a noi preme è un confronto complessivo».

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