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Riforme, Renzi: no ai diktat della minoranza su ddl Boschi,…

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via libera della direzione pd

Riforme, Renzi: no ai diktat della minoranza su ddl Boschi, sì alla designazione dei senatori

«Questa legislatura è nata male, con una non-vittoria», e la svolta «è arrivata quando abbiamo iniziato a fare le riforme». A dirlo è il premier e segretario dem Matteo Renzi, che alla direzione Pd ribadisce il ruolo centrale del ddl Boschi («tra le riforme è la più importante»), e respinge il pressing della minoranza: «Se qualcuno vuole una discussione civile sul merito noi ci siamo, se invece vuole imporre un diktat noi non ci fermeremo». Quindi sì alle modifiche, spiega al termine del pomeriggio, ma senza toccare quanto già approvato, perchè «se c'è la doppia conforme, non si può fare finta che non ci sia. Se si decide di cambiare la doppia conforme è chiaro che si riapre la discussione su tutto».

No all’elezione dei senatori, sì alla designazione
L'elezione diretta dei senatori, nodo centrale dello scontro in atto nel partito, «non può sussistere, partendo dalla doppia conforme», chiarisce il segretario dem, «ma può esserci una designazione, com'era nella legge del 1995, la Tatarella. Su questa e altre questioni siamo disponibili. E mi auguro che su questo si possa portare tutto il Pd». Alla direzione del partito, riunita dalle 16.15 nella sede di via del Nazareno a Roma, va in scena il braccio di ferro fra la maggioranza e la minoranza interna sulle riforme costituzionali, all’esame in terza lettura al Senato. Poco dopo le 19, al momento del voto sulla relazione del segretario, la fronda comunque non si espone, ed evita di contarsi: il via libera è all’unanimità, ma la minoranza non partecipa al voto.

Sull’emendamento «alla fine l’intesa si troverà
Nella replica conclusiva precedente il voto, il premier conferma la sua preferenza per la «designazione» dei senatori rispetto alla loro elezione. In altre parole, la designazione dei componenti della Senato delle Autonomie dovrebbe spettare agli elettori al momento del voto dei consigli regionali. La «ratifica», cioè la vera e propria nomina dei senatori designati, toccherà invece ai consigli regionali. Su queste basi, spiega Renzi «troveremo alla fine un punto di intesa» sull’emendamento che dovrà introdurre la designazione dei senatori in Costituzione.

Gotor: se cittadini decidono senatori e Consigli ratificano per noi va bene
A stretto giro, al termine della direzione, il bersaniano Miguel Gotor (Bersani era assente, avendo preferito chiudere una festa dell’Unità in Emilia) prospetta come possibile l’accordo. Se le parole di Renzi «significano che i cittadini decidono chi sarà senatore e i Consigli regionali ratificano la volontà popolare», spiega, « per noi va bene. La Costituzione esige chiarezza: non c'è bisogno di bizantinismi e giri di parole».

Frustrante per militanti un Pd che discute solo di emendamenti
Insomma, sulle riforme,incalza Renzi, «siamo a un passo dal traguardo», e chiunque decida di interrompere questo percorso «lo deve dire motivando le sue ragioni». La composizione del nuovo Senato «è un piccolo puntino del tutto secondario di un'ampia riforma costituzionale che cambia le regole del gioco ed è a sua volta un tassello importante di mosaico più ampio. L'idea che il Pd tutti i giorni sui tg non stia sui temi immigrazione, Europa, crescita, ma a discutere in una sfibrante dialettica interna su emendamento X o Y è riduttivo e frustrante per nostri militanti e volontari», aggiunge il premier.

Articolo 2, se Grasso apre a modifiche «saremmo davanti a fatto inedito»
Nel mirino del premier il presidente del Senato, Pietro Grasso, chiamato a decidere sull’emendabilità o meno dell’articolo 2: se dovesse aprire a modifiche al ddl Boschi «si dovrebbero convocare Camera e Senato perché saremmo davanti ad un fatto inedito». Un affondo su cui Renzi è costretto a tornare poco dopo per replicare al leader di Sel, Nichi Vendola, che parla di minacce al presidente del Senato. Se Grasso «apre sulla doppia conforme dobbiamo fare una riunione dei gruppi Pd di Camere e Senato», si corregge Renzi, «per ragionare su che cosa fare. Nei poteri del premier non c'è il potere di convocare Camera e Senato».

Svolta autoritaria? «Una risata unica risposta possibile»
Renzi attacca poi il «continuo ritornello» per cui con le riforme - e quella del bicameralismo perfetto in particolare - «siamo a una svolta autoritaria e antidemocratica». Di fronte ad accuse del genere, sottolinea, «una risata è l'unica risposta immaginabile». Il premier ricorda che «le riforme del centrosinistra degli anni precedenti erano anche più ambiziose della nostra riforma», con la quale «nessun potere del presidente del Consiglio viene modificato da questa riforma».

Legge di Stabilità, la parola chiave sarà fiducia
Nella sua relazione, il premier affronta anche il tema della legge di Stabilità, ormai prossima alla presentazione ufficiale, e spiega che «nell'economia il punto chiave è restituire fiducia ai cittadini», e fiducia sarà anche la parola chiave per capire la prossima manovra . «E' finito il tempo dei pastrocchi: l'Imu e la Tari devono andare via per tutti e per sempre», conferma. Parlando invece delle pensioni invita il partito a «dire con chiarezza che i conti pensionistici, per quello che riguarda il nostro paese non si toccano. Noi non mettiamo una voce “più” sulle pensioni. Ma se esiste la possibilità, e stiamo studiando il modo, per cui in cambio di un accordo si possano consentire forme di flessibilità in uscita, se esistono le condizioni per farlo, sarebbe un gesto di buona volontà e per questo stiamo studiando».

La minoranza prudente: no a prove muscolari
Nel dibattito successivo all’intervento del segretario prende la parola Gianni Cuperlo, uno dei leader della minoranza, che concorda sulla possibilità di tagliare il traguardo della riforma del Senato se «ciascuno rinuncia a qualcosa», e lancia un appello a non vedere la questione dell’elettività dei senatori come «un braccio di ferro, una prova muscolare», magari con la voglia di «esibire uno scalpo» che «non c'entra col merito» del ddl Boschi». Alfredo D’Attorre, anche lui della minoranza dem, accetta l’invito a non lanciare diktat ma chiede di non drammatizzare « il fattore della doppia copia conforme». E conclude: «se c'è un accordo politico si supera. Prendiamo le cose dal lato della politica e non delle forzature».

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