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Rai, disco verde della Camera alla riforma. Ora torna al Senato

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con 259 «sì» e 143 «no»

Rai, disco verde della Camera alla riforma. Ora torna al Senato

Via libera dell’Aula della Camera in seconda lettura alla riforma della Rai, che ora torna al Senato per il varo definitivo. I sì sono stati 259, i no 143 (Sel, M5S e Fi), gli astenuti 4. A ritmo serrato, l’assemblea di Montecitorio ha approvato oggi tutti gli articoli del ddl che ridisegna la governance dell’azienda pubblica radiotelevisiva introducendo la figura dell’amministratore delegato.

«Sì» all’articolo 2 sulla nuova governance Rai
L’articolo 2 sancisce la nuova governance dell’azienda pubblica radiotelevisiva stabilendo che il Cda sarà composto di sette e non più nove membri e che introduce la nuova figura dell’amministratore delegato. Via libera anche al “presidente di garanzia”, la cui nomina diventerà efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole dei due terzi della commissione di Vigilanza.

Compensi on line, tranne quelli delle star
L’Aula ha approvato un emendamento all’articolo 2 dei relatori Vinicio Peluffo e Lorenza Bonaccorsi (entrambi del Pd) secondo cui nel sito Internet della Rai dovranno essere pubblicati i compensi dei «soggetti, diversi da quelli aventi un contratto di natura artistica, che ricevano un trattamento economico annuo onnicomprensivo a carico della società pari o superiore a euro 200mila». Ieri l’emendamento aveva fatto discutere, perché l’obbligo è escluso per i compensi delle star. Il sottosegretario Antonello Giacomelli aveva replicato così alle critiche delle opposizioni: «Nel caso di chi svolge un ruolo dirigenziale è la sua singola retribuzione che deve essere resa riconoscibile, nel caso di una star è il dato aggregato del programma che deve essere dato».

Via libera all’articolo 3 su deroghe appalti
L’Aula ha poi varato l’articolo 3 del ddl con 264 voti a favore. La norma, come modificata dagli emendamenti dei relatori, modifica le regole per la concessione degli appalti della tv pubblica. Un primo emendamento stabilisce che sono esclusi dalla normativa del codice sugli appalti solo i contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture, relativi «all’acquisto, lo sviluppo, la produzione o la coproduzione, la commercializzazione di programmi radiotelevisivi». Si stabilisce, inoltre, che «l’affidamento dei contratti avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità». Un ulteriore emendamento approvato elimina il riferimento alla distribuzione e promozione dei programmi, attività che vengono quindi escluse dalla deroga.

Sì alla delega al governo sul riassetto normativa
L’articolo 4 del ddl delega il governo a procedere al riassetto normativo, ovvero a rivedere il Dlgs 177/2005 per semplificare le norme vigenti e adeguare i compiti del servizio pubblico con riguardo alle diverse piattaforme tecnologiche, favorire la trasmissione di contenuti destinati ai minori, diffondere le trasmissioni radiotelevisive su tutto il territorio e preoccuparsi di diffondere trasmissione anche nelle lingue diverse dall’italiano (tedesco, ladino e francese) per Bolzano, Trento, Val D’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Disco verde inoltre all’articolo 5, il quinto e ultimo articolo che attribuisce al direttore generale i poteri dell’amministratore delegato in fase di prima applicazione della legge, prevedendo inoltre che il dg mantenga anche le attuali competenze.

M5S all’attacco. Grillo lancia l’hashtag #Dittaturai
In trincea il Movimento Cinque Stelle che già ieri, nella prima giornata di votazioni a Montecitorio, aveva rallentato i lavori con interventi a raffica. Pesanti le accuse, a colpi di “TeleRenzi”, “nuovo Minculpop”, “Ufficio di propaganda del governo”. Oggi la dose è rincarata, con il leader Beppe Grillo che su twitter ha lanciato l’hashtag #Dittaturai rimandando a un post pubblicato sul suo blog firmato dai deputati Roberto Fico, Dalila Nesci, Mirella Liuzzi e Simone Valente. «Hanno fatto credere ai cittadini di voler allontanare la politica dalla Rai - scrivono i parlamentari M5S - ma alla prova dei fatti il risultato è esattamente il contrario. Nulla cambierà per il servizio pubblico con la riforma della governance Rai voluta dal premier. Anzi si peggiora ulteriormente». Poi l’affondo: «Il legittimo sospetto è che Renzi e Berlusconi, con i loro colonnelli Gasparri, Romani e Anzaldi, siano pronti a spartirsi nomine e direzioni delle nuove newsroom e delle reti Rai».

Bocciato emendamento su tetto compensi manager
L’assemblea ha respinto un emendamento dei Cinque Stelle che chiedeva di introdurre anche per i manager Rai il tetto di 240mila euro valido per le amministrazioni pubbliche. Ha pesato il parere negativo del governo. «Se il Parlamento ritiene che l’emissione di obbligazioni non debba essere condizione per superare il tetto - ha spiegato Giacomelli - questo deve valere per tutte le società, non solo per la Rai. Quello che stabiliamo nella legge è che si garantisca il pieno rispetto delle normative in vigore che devono valere per tutte le aziende». Nel frattempo, il Mef - in risposta all’interrogazione al presidente e al Dg della Rai del deputato Pd Michele Anzaldi - ha quantificato in 2 milioni di euro l’effetto dell’applicazione del tetto dal 1° maggio 2014 al maggio 2015, quando l’azienda si è avvalsa della deroga disposta dal dm 166/2013 in base al quale «a seguito dell’emissione di strumenti finanziari, le società a partecipazione pubblica non sono vincolate a limiti stipendiali».

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