di Raffaella Calandra
«Vista l’anteprima del processo...». È il lapsus di un'avvocatessa a raccontare il clima di questa prima udienza del processo Mafia capitale. Parlava del rito abbreviato già celebrato, ma il linguaggio cinematografico prevale oggi su quello giudiziario, in questa prima giornata in cui Roma comincia a processare il mondo di mezzo di Carminati & company. E un po' anche se stessa e un pezzo della sua storia. Quella che ha permesso a «mafia capitale- per dirla con gli avvocati del Campidoglio - di infiltrarsi nel tessuto istituzionale, economico e politico». Roma capitale chiede di costituirsi parte civile, come la Regione e come diverse società partecipate e ancora più associazioni impegnate soprattutto con i migranti.
Nell'aula “Vittorio Occorsio “ a piazzale Clodio, neanche i posti in piedi sono più garantiti. Testate di ogni parte sono qui per seguire l’apertura del maxi processo alla mafia «originaria e originale » di Roma, come l’ha definita la Procura. Sugli schermi, otto riquadri rimandano ai video collegamenti con altrettanti imputati detenuti in carcere. E non ammessi in aula oggi. Dal 10 novembre, quando il dibattimento si sposterà nell’aula bunker di Rebibbia, il divieto resterà solo per tre.
A cominciare da Massimo Carminati, ex membro dei Nar e della Magliana, al carcere duro che ora fa capolino sugli schermi nel primo riquadro. In questo processo, «al contrario che negli altri potrebbe decidere di parlare», anticipa il suo avvocato Giosuè Naso, che poi in aula ha liquidato questi come un «processetto, frutto di operazione mediatico giudiziaria», prima di prospettare un rischio di nullità . Parole che innescano ripetute schermaglie con la Procura. «Tutti i processi e tutti gli imputati meritano rispetto», ribatte il pm Giuseppe Cascini. E nell’aula qualcuno accenna un applauso.
Ora, Carminati con una felpa scura assiste in video alle prime questioni tecniche di un dibattimento complesso per i numeri - 46 gli imputati - ma ancor di più per la tensione e per l’alta posta in gioco. Per tutti. Imputati, politici, magistrati.
Dalla poltroncina azzurra, si alza invece durante l’appello iniziale Luca Odevaine, ex membro del tavolo immigrazione del Viminale, appena mandato ai domiciliari dopo aver riempito pagine di verbali. «Ho fatto degli errori, ma a Roma non c'è una mafia», ha detto ai cronisti in aula. «A Roma le cose si trascinano e le cooperative per lavorare devono arrivare a un compromesso fiscale». Comincia a raccontare. Gli chiediamo delle sue eventuali chiamate in correità, del Cara di Mineo, di quelle storie insomma per cui è indagato anche il sottosegretario Castiglione. Ma un carabiniere arriva e lo blocca bruscamente. I suoi racconti e i suoi verbali, quando depositati, saranno un pezzo fondamentale dell'indagine. E sul «Cara - per citare un'intercettazione di Salvatore Buzzi, l ex ras delle cooperative - rischia di cadere il Governo».
Ora l’udienza proseguirà con le altre questioni preliminari, come la richiesta di tantissime istituzioni e associazioni di essere parte lesa. E anche questi numeri parlano di cosa sia il processo Mafia capitale.
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