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Caso Shalabayeva: capo Sco e questore indagati per sequestro

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tribunale di perugia

Caso Shalabayeva: capo Sco e questore indagati per sequestro

Indagati dai pm di Perugia il capo dello Servizio Centrale Operativo della Polizia (Sco), Renato Cortese, il questore di Rimini, Maurizio Improta, insieme ad altri cinque poliziotti e un giudice di pace, tutti coinvolti a vario titolo nel “caso Shalabayeva”. L’accusa per la quale procedono i magistrati è di sequestro di persona. Agli indagati sarebbe stato notificato un'avviso di garanzia.

Otto persone iscritte al registro degli indagati
Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della Squadra mobile di Roma e il capo dell'ufficio stranieri della questura della Capitale. Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina - competente ad indagare in quanto è coinvolto un magistrato onorario del distretto di Roma - compaiono poi il giudice di pace capitolino Stefania Lavore, Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all'epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della Squadra mobile di Roma, oltre a Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l'ufficio immigrazione. Nell'informazione di garanzia inviata agli otto, secondo quanto si apprende, si sosterebbe che i poliziotti e il giudice di pace, in concorso con alcuni funzionari dell'ambasciata del Kazakistan di Roma, a fine maggio 2013 avrebbero sequestrato la Shalabayeva e la figlia di sei anni in una villa della Capitale e successivamente le avrebbero espulse.

L’esposto-denuncia di Shalabayeva e l’inchiesta dei pm di Perugia
All’origine dell’inchiesta di Perugia c’è l'esposto-denuncia presentato dalla difesa di Shalabayeva proprio mentre la Procura di Roma si accingeva a concludere i suoi accertamenti sulla vicenda con una richiesta di archiviazione al gip nei confronti di tre rappresentanti diplomatici del Kazakistan (l'ambasciatore a Roma Andrian Yelemessov, il consigliere degli affari politici Nurlan Khassen e l'addetto agli affari consolari, Yerzhan Yessirkepov) indagati per sequestro di persona. Per il pm Eugenio Albamonte e il procuratore Giuseppe Pignatone dalle indagini non erano infatti emerse le prove di pressioni e interferenze che i tre diplomatici avrebbero esercitato sui funzionari della Questura e del Viminale.

Nel maggio 2013 il blitz sollecitato dal governo di Astana
Il caso Shalabayeva esplose nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013, ai tempi del governo Letta, quando la Polizia italiana irruppe in una villa che ospitava Alma Shalabayeva, moglie di Muxtar Äblyazov, banchiere e politico dissidente osteggiata dal governo kazako, a Casal Palocco, alla periferia di Roma. A richiedere il blitz alle autorità italiane fu il governo di Astana, convinti di poter catturare Äblyazov, assente al momento dell’irruzione. Nonostante la Shalabayeva non fosse l'obiettivo del blitz, la donna venne comunque arrestata dalle autorità e portata in Questura assieme alla figlia Alua per accertamenti, avendo mostrato agli agenti un passaporto centrafricano falso. Contro di lei venne formalizzata l'accusa di risiedere clandestinamente in Italia, cui seguì un decreto di espulsione. Il 31 maggio, Shalabayeva e la figlia furono imbarcate su un aereo e rimpatriate in Kazakistan, dove le autorità disposero gli arresti domiciliari.

Le polemiche politiche e diplomatiche
La vicenda fu accompagnata da molte polemiche sia sul fronte diplomatico, con un inasprimento dei rapporti con il Kazakistan, che politici, per il possibile coinvolgimento del ministro dell’Interno Angelino Alfano, nei mesi successivi messo in difficoltà dalle richieste di sfiducia individuale avanzate dall’opposizione.

La Cassazione: «Irruzione immotivata»
Secondo la Cassazione, che in seguito accolse il ricorso della Shalabayeva contro il decreto di espulsione del giudice di Pace di Roma del 31 maggio 2013, la moglie del dissidente kazako non doveva essere espulsa dall'Italia e il provvedimento di rimpatrio era viziato da «manifesta illegittimità originaria». Accogliendo il ricorso della donna, gli ermellini giudicarono «immotivata» l'irruzione notturna nella villa di Casal Palocco. Shalabayeva, dopo aver passato qualche ora nel Cie, era stata messa su un volo per il Kazakistan insieme alla figlia. Il decreto di espulsione fu poi annullato dalle autorità italiane, con la concessione alla Shalabayeva dell'asilo politico nell'aprile del 2014.

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