«Come prima scintilla, all’inizio della nostra attività, alcuni operatori stranieri ci hanno ceduto l’utilizzo esclusivo di cinque brevetti. Li hanno dati a noi, che eravamo appena nati, e non a una multinazionale di un altro Paese, perché hanno riconosciuto la leadership italiana nella fermentazione naturale batterica. E, noi, non avevamo consapevolezza di questa grande specializzazione».
Marco Astorri, presidente di Bio-on, ha insediato la sua azienda sette anni fa in una ex conigliera, a Minerbio, vicino a Bologna. Una cosa quasi poetica, fra la distruzione creatrice di Joseph Schumpeter e le sceneggiature di Tonino Guerra. Il mito californiano e americano si fonda sull’immagine ultra-evocata del garage. Il racconto – troppo spesso sottaciuto – dell’innovazione – non solo emiliano-romagnola, ma italiana – passa anche dalle conigliere. In sette anni quella vecchia conigliera si è trasformata in un laboratorio degno degli eredi di Giulio Natta. Qui si lavora sulla plastica biodegradabile e biocompatibile, che ha sviluppato un polimero antico di cento anni, ma poco usato dall’industria internazionale.
Una tecnologia basata su batteri non patogeni. Una innovazione radicale che ha in comune con il polipropilene di Natta la natura di prodotto piattaforma. Non un solo utilizzo. Ma tanti utilizzi. E, così, il melasso di barbabietole di Minerbio serve per fabbricare una lampada di Philippe Starck. Oppure componenti per le automobili e, nella chirurgia, fili di sutura che non danno rigetto.
Nel quartier generale della Bio-on a San Giorgio di Piano, a 30 chilometri da Bologna in direzione Ferrara, si mettono in pratica anche scelte strategiche di impronta anglosassone: la quotazione all’Aim, con la capitalizzazione che in un anno dall’Ipo è cresciuta da 60 milioni a 240 milioni. Questo sistema industriale rappresenta davvero il punto di collegamento fra la tradizione e l’innovazione, i modelli italiani classici e le strategie manageriali del main stream, le aziende di famiglia di antico lignaggio e le nuove imprese, non importa che siano o no start-up.
Venite in Emilia-Romagna. E troverete l’ultima evoluzione del modello italiano: alla base dell’innovazione combinatoria - la tradizione degli istituti tecnici con i periti meccanici ed elettronici diventati imprenditori – si aggiunge l’innovazione più radicale. L’Emilia-Romagna – nell’innovazione e nelle strategie di impresa – è il punto di collegamento fra tradizione e modernità. Secondo la Fondazione Edison, nel primo semestre dell’anno la regione ha visto l’export aumentare a 27,5 miliardi del euro (+4,3% ), con le punte di Bologna (6,3 miliardi, +6,9%), di Modena (6 miliardi, +3,6%) e di Reggio Emilia (4,7 miliardi, +3,3%).
Utilizzando il paradigma dei distretti, sempre secondo le elaborazioni della Fondazione Edison, le piastrelle di Sassuolo nel primo semestre sono arrivate a un export di 1,075 miliardi (+8,1%), la pasta e gli insaccati di Parma rispettivamente a 332 milioni e a 148 milioni (+10,2% e +8,5%) e gli apparecchi medicali di Mirandola a 190 milioni di euro (43,3%). Il settore, leader in Europa e secondo al mondo, 3.500 addetti, 94 imprese di cui sei multinazionali, un tecnopolo con tre laboratori di ricerca, attira imprese e ricercatori da tutto il mondo. Tossicologia, biologia cellulare e sensoristica sono avanguardie dell’innovazione.
Prendi la macchina, ti sposti a Varano dè Melegari, in provincia di Parma, e trovi la Dallara, che fornisce le macchine al circuito Indy. Qui c’è un ex manager di una multinazionale, Andrea Pontremoli, che ha guidato in Italia e nel Sud Europa l’Ibm. Pontremoli è ora alla testa di uno dei pezzi del comparto che, in Emilia Romagna, fra automobili finite e componentistica nel primo semestre di quest’anno ha sfiorato i 5,4 miliardi di euro (+11,2%). Incontri Pontremoli e ti viene in mente Tolstoj: «Se vuoi parlare dell’universale, parla del tuo villaggio». Sì, perché in Emilia-Romagna – e in Italia – trovi il mondo.
«Sono io il primo a stupirmi – racconta l’amministratore delegato della Dallara – di quello che ho visto, proprio in quest’ultimo periodo, per esempio a Sassuolo e a Parma». La mitica Sassuolo descritta analiticamente nel 1966 per la prima volta dell’allora ventisettenne Romano Prodi nel saggio “Modello di sviluppo di un settore in rapida crescita. L’industria della ceramica per l’edilizia”, un testo che sotto il profilo scientifico ha contribuito a fondare l’economia industriale italiana e che nel discorso pubblico ha fatto conoscere ai più la vivacità e la forza di un pezzo del Paese, rompendo la convinzione generale che nella struttura economica italiana esistessero soltanto i gruppi privati delle “nobili” famiglie del capitalismo novecentesco e le aziende pubbliche di matrice Iri.
«A Sassuolo ho visto piastrelle di cinque metri quadrati spesse solo sei millimetri – ricorda Pontremoli – e due giorni dopo, a Parma, mi sono imbattuto nella VisLab, l’alternativa alla Google Car. Gli americani chiamano disruptive la tecnologia di rottura? Se non sono disruptive queste due cose, non so che cosa sia disruptive... Nei processi innovativi, c’è un aspetto che in Italia manca: la consapevolezza di sé».
Una identità innovativa che si manifesta perfino nelle attività tradizionali, dove il laboratorio confina con la stalla e la fabbrica con i cortili dei cascinali. Per esempio alla InterPuls che, ad Albinea vicino a Reggio Emilia, realizza componenti per la mungitura. Un tassello della meccanica e della componentistica emiliano-romagnole che, l’anno scorso, hanno esportato 15,7 miliardi di euro (+1,7%). Specializzazione vecchio stile? Certo. Che, però, negli ultimi cinque anni ha sviluppato 30 brevetti e ha investito il 10% del fatturato in R&S. «Siamo appena stati rilevati dalla Avon Rubber, una multinazionale inglese quotata – dice il direttore generale di InterPuls Gabriele Nicolini – che ha deciso di fare nel nostro insediamento il centro di Ricerca di tutto il gruppo».
In questo specifico caso, anche con una certa poeticità contadina, il latte appare il veicolo nella trasformazione storica meccanica-meccatronica-internet of things-big data. A connettere l’Emilia Romagna alla frontiera più avanzata del capitalismo internazionale è anche la farmaceutica, che nel 2014 ha visto l’export superare il miliardo di euro, con un incremento del 10%.
A Parma il Gruppo Chiesi prova a cambiare la natura dei processi curativi, per esempio lavorando sulle staminali. «Le terapie che non cronicizzano le malattie e le cura somministrate una sola volta al paziente rappresentano un cambiamento di paradigma», nota Andrea Chiesi, direttore dell’R&D. Business e innovazione. Ma, anche, qualcosa che ha una dimensione onirica, in grado di dischiudere una prospettiva di futuro. Per ricordare Attilio Bertolucci, la prossima rosa bianca che fiorisce nelle nebbie del mattino è questa.
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