FIRENZE - Non ci faremo processare dai giornali, e tantomeno da Roberto Saviano. Potrebbe essere questa la sintesi della parte più forte e più polemica del discorso con cui Matteo Renzi ha chiuso la sesta edizione della sua Leopolda. Ma il nome dello scrittore anticamorra autore di Gomorra non viene mai evocato dal premier per una precisa scelta comunicativa, così come il premier e segretario del Pd non nomina la sua ministra per le Riforme e per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. Ma certo l'irritazione e il nervosismo sono palpabili e visibili.
L'attacco di uno dei pochi personaggi pubblici ancora ascoltati nel mondo del centrosinistra contro Boschi - accusata di conflitto di interessi sulla questione del salva-banche per il ruolo del padre Pier Luigi in Banca Etruria (è stato vicepresidente) e per questo invitata a dimettersi - ha certamente offuscato questa seconda Leopolda di governo. Che per Renzi doveva essere da un lato la celebrazione di quanto fin qui fatto con le riforme messe in campo, a cominciare dal Jobs act che ha portato all'aumento dei posti di lavoro (e l'aspetto della celebrazione si è per la verità sentito e visto parecchio durante la tre giorni nella stazione ottocentesca di Firenze), dall'altro il luogo dove far germogliare le proposte e la visione per il futuro (e questo, per la verità, si è sentito e visto poco).
Ma non è solo la contemporaneità dell'attacco di Saviano con la Leopolda, evidentemente, il problema. A preoccupare Renzi è il montare della polemica contro Boschi (a chiederne le dimissioni, oltre al Movimento 5 stelle, è anche la Lega Nord alla quale si è accodata mezza Forza Italia e, a sinistra, Sel di Nichi Vendola) e la difesa a spada tratta degli investitori che hanno perso tutto da parte delle opposizioni, come se fossero vittime non delle banche ma del governo. Le elezioni comunali si avvicinano, e grillini e leghisti si sono buttati a peso morto sull'opportunità di erodere il consenso del Pd nelle zone “rosse” (le quattro banche “salvate” - Banca Etruria, Banca Marche e le Casse di risparmio di Ferrara e di Chieti - sono tutte delle Regioni centrali) e non sembrano disposti a mollare la presa. Da qui la reazione forte di Renzi, che va letta non solo contro Saviano.
«Chi pensa di strumentalizzare la vita delle persone deve fare pace con se stesso, ma chi pensa di strumentalizzare la morte delle persone personalmente mi fa schifo», sono le parole arrabbiate del premier tra gli applausi scroscianti dei leopoldini. Poi la difesa di Boschi, senza nominarla: «Chi parla di favoritismo sta insultando persone perbene. Nessun favoritismo del governo. Quello che è accaduto negli ultimi dieci anni nelle banche è sotto gli occhi di tutti, e c'è stata anche qualche “banca di partito”, anche se qualcuno fa finta di dimenticarsene, e quella banca è rimasta al verde». Il riferimento è naturalmente alla banca leghista CrediEuronord. Per quanto riguarda il governo, assicura Renzi, non ci sono invece scheletri nell'armadio.
Da qui il sì alla commissione d'inchiesta che anzi è stata proposta dal Pd. Commissione che dovrà anche individuare le responsabilità politiche dei governi «che ci hanno preceduto», quando le regole europee permettevano di fare di più e quel di più non è stato fatto. Berlusconi, ma anche Monti e Letta. Il decreto salva-banche era quello che si poteva fare a condizioni date, oggi, da Bruxelles. E Renzi rivendica la giustezza di quella scelta: «Senza il decreto avremmo un milione di conti correnti chiusi e 7mila licenziati. Non prendiamoci in giro, la verità è più forte delle chiacchiere. Poi chi ha truffato sarà individuato e pagherà, non ci sono né ci sono mai stati intoccabili».
Basterà? Certo Renzi non è uno che si fa mettere all'angolo, ma è anche certo che questa vicenda, con i riverberi su Boschi, è la prima che può in qualche modo inficiare agli occhi dell'opinione pubblica l'immagine di novità e pulizia del governo. A pochi mesi da elezioni amministrative molto importanti per il Pd e il suo leader. È un'immagine di novità e di pulizia che Renzi rivendica proprio alla Leopolda, «dove tutto è nato», quando «un gruppo di ragazzi di provincia si sono presi da soli il loro destino» e hanno portato due rivoluzioni in Italia: hanno rinnovato «un sistema di potere che era il più gerontocratico d'Europa» e hanno dato «stabilità al Paese più instabile d'Europa». «Alziamoci e andiamoci a prendere il futuro», conclude Renzi rivolgendosi al popolo leopoldino. Al quale chiede anche una mano in vista del referendum del prossimo autunno sulla riforma del Senato e del Titolo V. «Facciamo mille Leopolde in tanti luoghi per mobilitare. Gli iscritti al Pd non bastano, i mille banchetti non bastano». Con buona pace dei nostalgici della “ditta”.
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