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Licio Gelli è morto ad Arezzo, era il «venerabile»: la…

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aveva 96 anni

Licio Gelli è morto ad Arezzo, era il «venerabile»: la sua loggia P2 sconvolse l’Italia

L’Italia (e non solo) conobbe il suo nome quando, nel 1981, i finanzieri entrarono a Villa Wanda, la sua residenza aretina dove Licio Gelli si è spento ieri a 96 anni. Licio Gelli è deceduto dopo un periodo in cui le sue condizioni di salute già precarie erano decisamente peggiorate ed era stato riportato a casa di familiari dalla clinica San Rossore di Pisa.

L’ex venerabile maestro della loggia massonica P2 - che lascia la moglie Gabriela e tre figli, oltre ad una deceduta anni fa in un’incidente - era l’emblema di un’epoca che ha profondamente segnato la storia d’Italia con i suoi scandali e soprattutto i suoi misteri mai fino in fondo svelati. Condannato per depistaggio dalle indagini della strage di Bologna del 1980 ma poi anche per il caso Ambrosiano e, appunto, per la P2, aveva scontato pene in Svizzera e poi anche in Francia prima di tornare in Italia.

Tra i tanti nomi e soprannomi con cui veniva identificato - «Il burattinaio» o più semplicemente «Il Venerabile» - Gelli è stata una figura controversa della storia patria e mai del tutto inquadrata realmente: venne considerato il responsabile di un disegno agghiacciante per l’Italia (”il piano di rinascita”) ma alla fine forse inadeguato per la sua storia e il suo standing in grado di poterlo attuare.

Giulio Andreotti, verso il quale spesso vennero indirizzati sospetti di vicinanza, smorzava ogni volta gli accostamenti: «Mi ricordo di lui come il direttore della Permaflex di Frosinone» disse più volte non senza ironia l’ex primo ministro democristiano, che pure fu fotografato insieme a Gelli, e il cui numero di telefono fu trovato tra i famigerati documenti di Castiglion Fibocchi.

Di certo il ruolo di burattinaio di un progetto dichiaratamente anti-democratico lo giocò a lungo con efficacia, ricevendo e file infinite di politici, militari e grand commis nelle sale del Gran Hotel di Roma, da cui per un periodo non breve e di certo nefasto riuscì a influenzare la vita pubblica italiana, in uno scorcio tragico come quello a cavallo tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80, tra l’uccisione di Aldo Moro (molti di quelli che diressero le indagini erano suoi affiliati) alla fine della solidarieta’ nazionale e il ritorno al pentapartito.

Lo scandalo scoppiò il 17 marzo 1981 quando i giudici Gherardo Colombo e Giuliano Turone nell’ambito dell’inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona (altro tassello di un’era di fatti oscuri) fecero perquisire la villa aretina. Da lì spuntarono le liste infinite di nomi: parlamentari, alti ufficiali, imprenditori, giornalisti, nobiluomini piu’ o meno decaduti.

L’Italia tremò e lui scappò in Svizzera, dove poi sarà arrestato e rimarrà in carcere mesi dopo, e dalla quale evadrà. Anni dopo si costituisce, e siamo già nel 1987 e finalmente l’estradizione in Italia nel 1988, quando nel frattempo tutto molto è cambiato nella politica ma lo strascico lasciato dalla P2 si sente ancora.

Prima la libertà provvisoria poi di nuovo un arresto nel 1997 e nel 1988 la conferma della condanna a 12 anni per il crack Ambrosiano. Di nuovo irreperibile, fuga di quattro mesi e gli vongono concessi i domiciliari che sconterà nella solita villa Wanda, ad un certo punto sequestrata per debiti con il fisco (poi prescritti): una vita rocambolesca che forse dimsotra come avesse sempre potuto godere di una rete di aiuti che forse affondava negli anni giovanili di fascista repubblichino, strada poi abbandonata nel dopoguerra per il sottobosco democristiano.

Resta il dubbio (ma forse è ben più di un dubbio) che molti misteri mai svelati della storia italiana ormai siano sepolti con lui, simbolo (non unico) di uno spaccato storia italiana della quale non si va per niente fieri. Ma che non va dimenticata, anzi va ricordata sempre a monito di come sia possibile che le istituzioni democratiche possano essere inflitrate da chi le vuole deboli e manipolabili.

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