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Rapimento tecnici, Gentiloni: rientro salme entro domani. Sequestrati forse venduti ai rapitori

Arrivo all'aeroporto di Roma Ciampino dei due tecnici italiani rapiti e poi libertati in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno accolti dal ministro Paolo Gentiloni. (Ansa)
Arrivo all'aeroporto di Roma Ciampino dei due tecnici italiani rapiti e poi libertati in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno accolti dal ministro Paolo Gentiloni. (Ansa)

Le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano, i tecnici italiani uccisi in Libia, potrebbero rientrare in Italia domani. La previsione è del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che in conferenza stampa alla Farnesina ha confermato il «lavoro incessante» per permettere il rimpatrio «entro e non oltre la giornata di domani». Il sindaco di Sabrata, generale Hussein al Zawadi, più cauto, ha annunciato invece per oggi la consegna delle salme alle autorità del governo di Tripoli, stiamando almeno due giorni per ultimare le procedure per il rientro in Italia.

Inquirenti al lavoro per ricostruire dinamica del rapimento
In attesa delle salme, proseguono intanto in queste ore gli accertamenti sulla vicenda degli inquirenti italiani guidati dal pm del tribunale di Roma Sergio Colaiocco. Il magistrato ha già interrogato ieri in prima battuta i sopravvissuti al sequestro, che non hanno saputo chiarire le ragioni per cui, nonostante nell'estate del 2015 il governo avesse chiesto alle imprese italiane in Libia di evitare i trasferimenti via terra, il 20 luglio i quattro tecnici della Bonatti siano saliti a bordo di un mezzo guidato da un autista arabo per raggiungere la base libica di Mellitah. Base mai raggiunta perché a un check point furono bloccati da uomini armati che allontanarono l'autista e prelevarono i nostri connazionali. Solitamente gli spostamenti si verificavano via mare: quel giorno andò diversamente. E la domanda su chi abbia informato la banda di criminali del cambio di programma rimane al momento senza risposta, anche se il principlae sospettato della soffiata è l’autista.

Prigionia «atroce» soffrendo la fame e la sete
In attesa degli ulteriori sviluppi dell'inchiesta e dei risultati dell'autopsia delle due vittime, dagli ostaggi sopravvissuti sono arrivati oggi ulteriori particolari della prigionia e della loro evasione. Filippo Calcagno, uno dei due tecnici tornati ieri in Italia, tornato a casa a Piazza Armerina, in Sicilia, ha raccontato ai giornalisti i giorni della prigionia: «Un momento difficile è stato l'inizio, pensavamo di vivere un incubo. Poi abbiamo cercato di tenerci tutti con la mente chiara, cercando di non sbagliare data», con «Failla che diceva, dai, tranquilli. Ce la facciamo». Calcagno ha riferito che Piano e Failla sono stati con loro fino al primo marzo, poi sono stati portati via dai loro carcerieri con una scelta apparentemente casuale. La prigionia, circa 8 mesi nelle mani di quella che potrebbe rivelarsi una banda di criminali comuni non affiliata all'Isis, è stata una vicenda «atroce», ha proseguito Calcagno: «Abbiamo sofferto la fame, la sete i pugni e i colpi di fucile». Ha poi spiegato che «fino al giorno 2 marzo nostro e 1 marzo vostro eravamo insieme tutti e quattro: io, Gino, Salvatore e Fausto. Poi ci hanno divisi. Ci avevano detto che “era tutto finito”, ci hanno dato delle tute poi hanno portato via Piano e Failla, mentre noi siamo rimasti dentro».

Porta della cella forzata grazie ad un chiodo
La fuga dalla prigione dove erano stati abbandonati dopo il trasferimento di Failla e Piano, ha spiegato ancora Calcagno, è stata resa possibile dai suoi sforzi per aver ragione di una serratura. «Ho lavorato molto su quella porta dietro la quale eravamo rinchiusi. Con un chiodo ho capito che si poteva fare molto. Ho lavorato sulla serratura, un legno duro, ma con la caparbia ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino: “Forza, se dai due colpi siamo fuori”, gli dicevo. E così è stato». Un attimo prima di lasciare l'edificio dove erano tenuti prigionieri, ha raccontato ancora Calcagno, «ci siamo camuffati perché avevamo paura che ci fosse qualche altro gruppo fuori ci prendesse. Siamo andati sulla strada con l'intenzione di chiedere aiuto, però cercavamo la polizia perché era l'unica che potesse darci aiuto. E fortunatamente il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Abbiamo trovato i poliziotti e poi da lì è stato tutto un crescendo. Io dopo circa un'ora sono tornato indietro con loro per riconoscere la casa».

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