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Caso Regeni, inquirenti italiani inviati al Cairo per collaborare alle…

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l’omicidio del ricercatore italiano

Caso Regeni, inquirenti italiani inviati al Cairo per collaborare alle indagini

(LaPresse)
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Gli inquirenti italiani che indagano sull'omicidio di Giulio Regeni sono stati invitati al Cairo al fine di essere informati «degli ultimi sviluppi investigativi relativi alla morte» del ricercatore universitario. Lo ha comunica il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. Nell'accogliere l'invito, il procuratore ha annunciato che l'incontro «sarà organizzato a breve». Investigatori e inquirenti italiani, di fronte alla documentazione incompleta finora ricevuta, avevano rinnovato all'Egitto la richiesta dell'intero fascicolo d'indagine. In cima alle richieste c'è il traffico dei cellulari che il 25 gennaio hanno impegnano la cella che copre la zona attorno all'abitazione di Regeni e il traffico di quelli che il 3 febbraio sono stati agganciati dalla cella dove è stato ritrovato il corpo. Dati ritenuti fondamentali per risalire a chi ha torturato e ucciso il ricercatore.

Procura: invitati al Cairo per sviluppo indagini
L'invito al Cairo è stato fatto dall'ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy nel corso di un incontro tenutosi nell'ufficio dello stesso Pignatone, a nome del procuratore generale della Repubblica Araba d'Egitto, Nabil Ahmed Sadek. La trasferta dei pm romani al Cairo è finalizzata anche a «individuare ulteriori modalità di collaborazione - ha aggiunto Pignatone - tra le due autorità giudiziarie nell'interesse dei rispettivi Paesi».

Condanna Strasburgo: Egitto dica verità a Italia
Oggi intanto la plenaria del Parlamento europeo ha approvato praticamente all'unanimità (588 sì, 10 no, 59 astenuti) una risoluzione 'bipartisan' presentata da tutti i gruppi (tranne lo Efn di Le Pen e Salvini) che «condanna con forza la tortura e l'assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni» in Egitto. Il Parlamento «chiede» al Cairo di «fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie» per l'inchiesta e sottolinea con «grave preoccupazione» che il caso Regeni «non è un incidente isolato».

Ong egiziana: magistratura succube della polizia
Dubbi sulla autonomia della magistratura egiziana sono però sollevati dalle ong locali. «Per capire quanto è accaduto a Giulio, e quanto accaduto in queste cinque settimane di indagine al Cairo, sia necessario tener presente due verità. Una riguarda il rapporto di sudditanza tra le procure e gli organi della polizia e della sicurezza nazionale. Un'altra i numeri delle persone illegalmente scomparse tra l'agosto del 2015 e oggi». Così, in un colloquio con Repubblica, Mohammed Lotfy, responsabile della ong 'Egyptian commission for rights and freedoms'. «I pubblici ministeri in Egitto dipendono esclusivamente nella raccolta delle prove dagli organi di polizia e dagli apparati di sicurezza. Poiché stiamo parlando di un caso in cui la polizia per cercare la verità dovrebbe indagare su se stessa, pensare che il pubblico ministero possa avere un ruolo decisivo è utopia», ha aggiunto Lotfy. Non solo. «Tra il primo agosto e il 30 novembre del 2015 - ha sottolineato Lotfy - solo la nostra organizzazione ha censito 340 casi di sparizione. A marzo del 2016 più di 100 risultano ancora scomparsi».

Familiari Regeni da Mattarella: fare piena luce
I genitori del ricercatore ucciso al Cairo, Paola e Claudio Regeni, sono stati ricevuti ieri al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha assicurato che l'Italia farà di tutto per fare piena luce sull'omicidio. Un incontro, seguito da quello con il premier Matteo Renzi, servito a ribadire per l'ennesima volta all'Egitto che l'Italia non accetterà verità di comodo o, peggio ancora, che le torture e le sevizie subite da Giulio rimangano senza un colpevole. Perché è proprio questo il timore degli inquirenti e degli investigatori del Ros e dello Sco che da ormai un mese sono al Cairo; un timore alimentato dai continui depistaggi che arrivano dall'Egitto, dalle versioni che cambiano ogni giorno e dalla mancanza di una vera collaborazione da parte delle autorità egiziane.

Conclusioni discordanti autopsie in Italia e in Egitto
L'ennesima conferma è arrivata dalle parole del procuratore aggiunto di Giza Hassam Nassar, l'uomo che ha in mano l'indagine sulla morte di Giulio. Il magistrato ha infatti riferito che in base all'autopsia svolta dai medici egiziani, il ricercatore sarebbe morto «non più tardi delle 24 ore precedenti il ritrovamento del suo corpo, la mattina del 3 febbraio» e, dunque, «in un lasso di tempo compreso tra il 2 e il 3». Ma non solo: «le violenze che ha subito - ha detto - sono state inflitte tra le 10 e le 14 ore precedenti la sua morte». Peccato che l'esame svolto in Italia dica ben altra cosa e cioè che la morte del ricercatore risale al 30-31 gennaio, dunque almeno 2 giorni prima di quanto dicono le autorità del Cairo.

Così come soltanto adesso l'Egitto ha fatto sapere che l'ultima cella agganciata dal telefonino di Regeni pochi minuti prima delle 20 del 25 gennaio, non è quella che copre la sua abitazione - come le stesse autorità del Cairo avevano sempre sostenuto - ma una che impegna il ripetitore della stazione della metropolitana di El Bothoot, quella da dove Giulio avrebbe dovuto prendere il treno per raggiungere il suo amico nei pressi di piazza Tahir. Perché solo ora è emerso questo particolare, nonostante i tabulati fossero da tempo a disposizione delle autorità egiziane? Il sospetto di chi indaga è che sia stato reso noto solo nel momento in cui i filmati delle telecamere della stazione della metro non erano più recuperabili, perché si sono autocancellati.

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