Italia

«Spid», il Consiglio di Stato boccia la norma sul capitale…

  • Abbonati
  • Accedi
e-government

«Spid», il Consiglio di Stato boccia la norma sul capitale sociale per gestire l’identità digitale

Il Consiglio di Stato ha bocciato la norma sul capitale sociale introdotta nello Spid (il sistema pubblico di identità digitale diventato parzialmente operativo il 15 marzo che dà la possibilità a cittadini e imprese di richiedere le credenziali con le quali connettersi via intenet ai servizi della Pa), perché irragionevole e illegittima. Lo fa sapere Assoprovider (l’associazione di operatori indipendenti nel complesso settore dei servizi Internet) che accoglie con soddisfazione la sentenza del Consiglio di Stato n. 1214 del 24 marzo 2016, che annullando definitivamente i requisiti di capitale per le attività di identity provider stabiliti dalla Presidenza del consiglio dei ministri, statuisce una volta per tutte, come l'affidabilità di una azienda non possa essere messa in relazione al capitale sociale.

Finora i gestori accreditati presso l'Agid (Agenzia per l'Italia digitale) per rilasciare a cittadini maggiorenni e imprese il “Pin” unico per accedere ai servizi della Pa sono tre “big player”: InfoCert, Poste o Tim. In lizza ci sono, però, già altri candidati a diventare “Identity Provider”.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato dopo aver incassato l'alt dal Tar del Lazio, sul tema dell'elevato capitale sociale necessario, quale elemento di qualifica per poter diventare “Identity Provider Spid”. Assoprovider spiega che Palazzo Spada ha rigettato l'appello sostenendo che non si può condividere l'argomento secondo cui l'elevato capitale sociale minimo di 5 milioni di euro della società di capitali, alla cui costituzione debbono procedere i gestori dell'identità digitale nel sistema Spid, sarebbe indispensabile per dimostrare la loro affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria, e ciò solo perché l'attività di cui trattasi richiede un rilevante apporto di elevata tecnologia.

Una norma, continuano i supremi giudici amministratvi, illegittima anche «per irragionevolezza dell'impedimento all'accesso al mercato di riferimento,dovuto all'elevato importo del capitale sociale minimo richiesto con l'atto impugnato, trattandosi di scelta rivolta a privilegiare una finalità di incerta efficacia, a fronte della sicura conseguenza negativa di vedere escluse dal mercato stesso tutte le imprese del settore di piccole e medie dimensioni, quali appunto quelle rappresentate dalle associazioni ricorrenti».



© Riproduzione riservata