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Npl, giustizia lenta, poco credito: la spirale da spezzare

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l’italia e i partner europei

Npl, giustizia lenta, poco credito: la spirale da spezzare

Trovare una soluzione al problema dei crediti deteriorati non significa solo salvare le banche italiane più fragili. Vuol dire soprattutto allentare uno dei cappi che hanno soffocato negli ultimi anni l'economia del Paese. Perché quei 202 miliardi lordi di prestiti in sofferenza sono una patologia tutta italiana. E rappresentano un freno in più per la nostra ripresa economica.

I sistemi creditizi degli altri Paesi hanno certamente malattie diverse, a partire dai derivati dentro cui affogano le banche tedesche. Gli istituti italiani non avranno derivati, titoli tossici o leve finanziarie gigantesche, ma questo non deve far sottovalutare il loro problema specifico. I crediti deteriorati sono infatti una patologia nel nostro Paese, più che altrove, per almeno tre motivi. Uno: sono molti più che all'estero. Due: sono difficili da recuperare per via di un sistema giudiziario troppo lento. Tre: non sono mai stati ridotti con aiuti pubblici, come fatto in Spagna o Irlanda.

Il fardello
Il primo problema che rende l'Italia “speciale” è dunque numerico. Dato che da noi la recessione è stata pesante, dato che da noi in passato le banche sono state particolarmente vicine all'economia reale e dato che da noi si sono verificati un po' troppi casi di mala gestio, i crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane sono oggi molto maggiori che all'estero. E sono cresciuti troppo in fretta (le sofferenze lorde sono passate dai 107 miliardi del 2011 ai 202 attuali), per un sistema bancario che non è mai stato particolarmente abile nel gestirli.

Così, secondo i calcoli del Fondo monetario, oggi i prestiti in sofferenza in Italia ammontano all'11,2% del totale crediti. Questo significa che ogni 100 finanziamenti erogati dalle banche a famiglie e imprese, in media 11,2 sono ormai inesigibili. Questo dato include solo le sofferenze, dunque la punta dell'iceberg, non gli incagli. Ma già parla da solo: l'11,2% italiano si confronta infatti con una media dell'area euro “centrale” del 4,3%. Se si prendono invece i dati dell'Eba, che includono tutti i crediti deteriorati e non solo le sofferenze, il fardello appare ancora maggiore: in Italia sono di difficile recupero crediti pari al 16,7% del totale. Molto più del 3,4% della Germania, del 2,9% dell'Olanda, del 4,3% della Francia e del 7,1% della Spagna.

Questa montagna lorda, in realtà, è già stata in gran parte svalutata nei bilanci delle banche. Dunque le perdite sono già state in parte digerite. Il tasso di copertura dei crediti deteriorati, sempre secondo i dati dell'Eba, è infatti più alto della media europea: da noi è al 45% (superato solo dal 46% spagnolo, dal 51% francese e dal 56% austriaco), mentre in tutti gli altri Paesi è più basso. Soprattutto in Germania, dove sta al 35%. Questo significa che le banche in Italia hanno adottato una politica più prudente che all'estero. Per di più va rilevato che la patologia vera riguarda solo alcune banche, non tutte. Detto questo, però, i numeri sono giganteschi. E vanno ridotti, per il bene del Paese.

L'altro problema è legato al fatto che questa montagna si trova proprio in un Paese famoso per la lentezza della giustizia. In Italia - secondo i dati di Mediobanca Securities - servono mediamente 7,8 anni per chiudere una procedura fallimentare. Molti più che all'estero. Chi vuole far valere un contratto in Tribunale - calcola la Banca mondiale - deve aspettare 1.120 giorni: molto più dei 429 della Germania, dei 395 della Francia, dei 505 del Belgio, dei 397 dell'Austria o dei 510 della Spagna. L'Italia, insomma, sta su ordini di grandezza completamente diversi rispetto al resto d'Europa. Sta migliorando, dice la Banca Mondiale nel suo rapporto, ma si trova ancora lontana dagli standard normali. Questo è il nocciolo della questione: avere tanti crediti deteriorati proprio in uno Stato con un sistema giudiziario civile così inefficiente, è come avere tanta immondizia in un Paese dove gli spazzini si muovono al rallentatore.

Il terzo problema è legato al fatto che l'Italia non ha mai usato soldi pubblici (escludendo le briciole dei Tremonti e Monti bond) per aiutare le proprie banche. Oltre ai 238 miliardi impegnati dal Governo tedesco, fanno riflettere i 52 miliardi usati dalla Spagna e i 42 dall'Irlanda (ottenuti con aiuti europei) proprio per risolvere a casa loro anche il problema dei crediti in sofferenza. Qui sta il paradosso: l'Italia ha contribuito (con i soldi dei propri cittadini) a salvare le banche spagnole e irlandesi dai crediti in sofferenza, ma non è mai intervenuta per le proprie. Così oggi spagnoli e irlandesi hanno ridimensionato il problema, noi no.

Le conseguenze economiche
Tutto questo ha prodotto effetti pesanti sull'economia. Anche a causa dei crediti in sofferenza, le banche italiane hanno ridotto l'erogazione di credito a famiglie e imprese: i prestiti dal 2011 si sono contratti di oltre 100 miliardi di euro. Questo ha contribuito a congelare gli investimenti (calati dal 2010 del 20% circa) e ha ulteriormente avvitato la crescita economica. Tanto che dal 2007 il Pil è sceso del 9% circa.

Sono i numeri di una guerra. E sono stati in parte causati (non solo, ovvio) dall'accumulo di crediti deteriorati nei bilanci delle banche. Ecco perché oggi proprio qui bisogna intervenire: per spezzare quella spirale che dagli istituti creditizi contagia l'economia e viceversa. Basterà il fondo Atlante? Basteranno le riforme che cercano di velocizzare i tempi biblici della giustizia fallimentare? La Borsa sembra crederci. Ma a giorni alterni.
m.longo@ilsole24ore.com

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