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Potenza, Lo Bello avrebbe anche cercato sostegno a Palazzo Chigi per la…

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l’Inchiesta

Potenza, Lo Bello avrebbe anche cercato sostegno a Palazzo Chigi per la nomina a Unioncamere. L’indagato: «Fiducia nei giudici»

Ivan Lo Bello (Ipp)
Ivan Lo Bello (Ipp)

Ivan Lo Bello finisce nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Potenza. Per i magistrati, il vicepresidente di Confindustria sarebbe, assieme a Paolo Quinto, componente dell’assemblea del Pd e caposegreteria di Anna Finocchiaro, «partecipante» al presunto «quartierino romano», l’organizzazione per delinquere che avrebbe tra i «promotori e ideatori» gli imprenditori Gianluca Gemelli, compagno dell'ex ministro Federica Guidi, e Nicola Colicchi, ex della Compagnia delle Opere.

Dalle carte dell'inchiesta emerge inoltre che Lo Bello cercò sostegno nei vertici di Palazzo Chigi per la sua nomina alla presidenza di Unioncamere. In particolare emergono rapporti con il Vice Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri Raffaele Tiscar, che, in base alle intercettazioni, cercò di muoversi per rimuovere ostacoli alla sua carriera.

È l’ipotesi del procuratore capo di Potenza Luigi Gay, dall’aggiunto Francesco Basentini e dal sostituto Laura Triassi, nell’indagine nata dai sospetti illeciti nella gestione degli stabilimenti petroliferi in Val d’Agri (Basilicata). Stando alle accuse si tratterebbe di una «organizzazione rudimentale», che avrebbe mostrato di essere «permanentemente impegnata in attività che, seppure connotate da finalità lecite, vengono perseguite attraverso condotte illecite, quali il traffico di influenze illecite e l’abuso d’ufficio». Colicchi e Quinto sarebbero «la cerniera col mondo politico», mentre Gemelli e Lo Bello avrebbero fatto «leva soprattutto al fine di ottenere nomine di pubblici amministratori compiacenti o corruttibili, sul contributo di conoscenze ed entrature politico-istituzionali acquisite in anni di militanza politica da Quinto e Colicchi».

Immediata la reazione di Lo Bello. «Ho appreso dalle agenzie di stampa di essere indagato dalla magistratura di Potenza. Ho sempre avuto piena fiducia nell’operato dei magistrati. Chiederò alla procura di Potenza di poter essere sentito quanto prima per chiarire ogni cosa».

Questo filone d’indagine nasce da presunti illeciti commessi attorno alla Legge Navale 2014, la norma che ha previsto lo stanziamento di 5,4 miliardi di euro per l’ammodernamento della flotta militare. Un’operazione che sta a cuore al capo di Stato maggiore della marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi (anche lui indagato e coinvolto in un procedimento alla Procura militare) che, attraverso Gemelli e il superburocrate con contratto di consulenza al Mise, Valter Pastena, riesce a ottenere lo sblocco delle erogazioni. In cambio si sarebbe attivato per la rimozione degli ostacoli affinché si concludesse il progetto di Gemelli: creare il più grande polo di stoccaggio del petrolio nel Mediterraneo nel porto di Augusta. «Se noi vogliamo fare una cosa intelligente - precisa Quinto a Gemelli il 16 gennaio 2015 - ti conviene prendere il pontile così condizioni l’uso di esso». L’iniziativa imprenditoriale sarebbe stata compiuta attraverso la presunta concessione di un pontile, con annesse condotte, alla società Alfa Tanko (di cui Gemelli sarebbe socio occulto). Per far ciò si sarebbe messo in moto un presunto «sistema» che vede anche il coinvolgimento di altri indagati: Alberto Cozzo, commissario straordinario del porto di Augusta - nominato dal ministro Graziano Delrio che non risulta indagato - l’imprenditore Alfredo Leto e il contrammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto. L’associazione, infine, avrebbe avuto un interesse anche in altri progetti: piani per impianti energetici e il progetto di «Sistemi di difesa e sicurezza del territorio» in Campania.

Intanto il Tribunale del Riesame di Potenza ha bocciato la richiesta di revoca del sequestro delle vasche di stoccaggio rifiuti dello stabilimento Cova di Viggiano (Basilicata). L’Eni ha annunciato immediato ricorso in Cassazione contro la conferma dei sequestri e ha comunicato di aver «avviato la procedura di fermata e messa in stato di piena sicurezza» dell’impianto. Questo avviene dopo che già il 31 marzo scorso era stata sospesa la produzione.

In termini economici la Regione Basilicata rischia di perdere circa 1 milione di euro la settimana di royalty. Stando all’accusa le acque reflue dell’estrazione petrolifera, certificate illecitamente come «non pericolose», sarebbero finite in due grandi vasche per poi essere smaltite con la riniezione nel sottosuolo con sostanze inquinanti. Dagli atti dell'inchiesta sul sito di Eni emergono nuovi dettagli dalle informative dei carabinieri del Noe. I dirigenti dell’Eni - sulla cui custodia ai domiciliari il tribunale del Riesame si esprimerà domani - si sarebbero accordati per non far emergere i problemi legati alle emissioni di agenti inquinati, omettendo di avvertire le autorità.

Aggiornamento del 25 marzo 2019
“Il 5 dicembre 2016 la Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione del procedimento, nei confronti degli indagati, in particolare della posizione di Valter Pastena, richiesta accolta dal Gip in data 28 dicembre 2016”.

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