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Bankitalia: «Stime Def plausibili, ma restano rischi»

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la ripresa difficile

Bankitalia: «Stime Def plausibili, ma restano rischi»

«Il Def ha definito chiaramente l’inversione della dinamica del debito rispetto al prodotto come “obiettivo strategico del Governo”. È un fatto positivo e importante che, nonostante il peggioramento delle proiezioni di crescita, sia stato confermato l’obiettivo di avviare la riduzione del debito a partire da quest’anno».

L’apprezzamento per la scelta di fondo dell’esecutivo viene dal vicedirettore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, ascoltato ieri in audizione sul Documento di economia e finanza del 2016. L’esponente della Banca centrale, peraltro, ha spiegato anche che si tratta di un traguardo non facile. «I margini non sono ampi – ha dichiarato – nel quadro del Def, che include un programma ambizioso di privatizzazioni, il tasso minimo di crescita nominale del prodotto che consente al rapporto tra debito e Pil di scendere nel 2016 è circa il 2 per cento, non molto al di sotto del 2,2 per cento incluso nello scenario programmatico».

In pratica, se l’inflazione e/o la crescita economica fossero lievemente inferiori alle attese, il target previsto potrebbe essere in pericolo: anche se lo scenario del Def è plausibile, Signorini ha ricordato che secondo le ultime proiezioni del Fmi il Pil italiano crescerà quest’anno dell’1 per cento e che il consensus degli economisti stabilisce in questo momento una forchetta di crescita per il 2016 compresa fra l’uno e l’1,2 per cento: «Per garantire il raggiungimento dell’obiettivo relativo al debito sarà dunque necessario mantenere durante l’anno uno stretto monitoraggio dei conti pubblici, anche in connessione con l’evoluzione del quadro macroeconomico». Il punto centrale, infatti, resta il mutevole di giudizio del mercato.«Un Paese con alto debito pubblico - ha proseguito Signorini - è esposto a rischi elevati in caso di shock avversi all’economia». Quindi «se si vuole mantenere e consolidare la fiducia dei mercati – ha osservato il dirigente di via Nazionale – è importante conseguire nel tempo una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva, e allo stesso tempo completare il programma di riforme credibilmente avviato, a sostegno delle prospettive di sviluppo dell’economia». Signorini ha aggiunto che l’eredità della crisi in termini di aggravio delle finanze pubbliche è pesante: «Dal 2007 a oggi il rapporto fra debito pubblico e Pil è aumentato di un terzo».

Una dinamica dovuta essenzialmente alla stagnazione del prodotto nominale. Se dall’inizio della crisi il prodotto interno lordo reale fosse cresciuto in linea con il ritmo del decennio precedente e se il deflatore fosse rimasto in linea con l’obiettivo d’inflazione di medio termine dell’eurozona (2 per cento, ndr) il peso del debito in rapporto al Pil sarebbe salito di soli tre punti, invece che di 33 rispetto al 2007. «Questo conferma – ha osservato l’esponente di Palazzo Koch– che l’azione sui conti pubblici è inscindibile da una politica economica orientata a creare le condizioni per una crescita robusta e duratura». Bisogna quindi proseguire sulla strada delle riforme strutturali, dato che quelle già realizzate dal governo, a cominciare dal Jobs act, stanno cominciando a dare effetti anche in termini di espansione del numero degli occupati. A questo proposito, secondo Signorini «andrà considerata con attenzione l’opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale, a beneficio della crescita dell’occupazione».

La disattivazione delle clausole di salvaguardia (che comporterà una perdita di gettito di 15,1 miliardi nel 2017 e di altri 4,5 nel 2018) «è condivisibile, dato l’effetto recessivo che esse potrebbero avere, in una fase di ripresa ancora debole». Tuttavia,secondo Bankitalia «non vi è alternativa a interventi rigorosi ed efficaci sulle entrate e sulle spese» perché, se anche le clausole di salvaguardia non rappresentano un impegno assoluto , disattenderle ripetutamente può accrescere l’incertezza. Che sia necessario alleggerire il carico fiscale, è dimostrato dai numeri mostrati ieri da Signorini: la pressione fiscale è diminuita dal 43,2% del 2014 al 42,9% del 2015 ma è rimasta superiore, per circa 2,5 punti percentuali, alla media registrata nel decennio precedente la crisi dei debiti sovrani.