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Mattarella oggi a Venzone e a Gemona per ricordare le 989 vittime

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Mattarella oggi a Venzone e a Gemona per ricordare le 989 vittime

Il 6 maggio del 1976 era una giornata di caldo sfinente in Friuli. Temperature da canicola inusuali per il maggio soprattutto nel lembo più nordorientale della regione. Alle 21 si sentì un rumore fortissimo come un tuono: la voce del sisma di magnitudo 6,4 della scala Richter, ottavo grado della Scala Mercalli, allora l'indice di misurazione più diffuso. Nelle case ballavano i lampadari e nelle strade cadevano calcinacci. Era l' Orcolàt, il demone del terremoto, come lo chiamano i friulani, che devastò Maiano, Buia, Gemona, Osoppo, Magnano, Artegna, Colloredo, Tarcento, Forgaria, Vito d'Asio e molti altri paesi della pedemontana. Le conseguenze furono: 989 morti, moltissimi edifici devastati, che costrinsero 45mila a passare le prime notti nelle tendopoli, allestite in un baleno, sfollate poi tra Grado, Lignano e Bibione. Così voleva il ministro per il coordinamento della protezione civile Giuseppe Zamberletti, che per i friulani era diventato un nome familiare.

Nei giorni seguenti la terra non smetteva di tremare, anche se Orcolàt grosso tornò quattro mesi dopo, l'11 e il 15 settembre. Piccole scosse si registravano in continuazione e il Messaggero Veneto, il giornale del Friuli, le riportava come in un bollettino. I suoi cronisti, assieme a quelli delle grandi testate erano tra le macerie e tra la gente che si rimboccava le maniche e ricostruiva, pietra su pietra, i propri simboli e le proprie case. Un esempio di efficienza, velocità e onestà, mescolati a pudore e poche parole, così esemplare che venne ribattezzato “Modello Friuli”. Nelson Rockefeller, 41esimo vicepresidente degli Stati Uniti, il 13 maggio visitò le zone colpite e promise stanziamenti, un assegnone di 55 milioni di dollari, gestito poi dall'associazione nazionale alpini, con cui vennero costruite scuole e case di riposo. Fasin di bessôi, facciamo da soli, era il motto con cui i terremotati lavoravano, ma migliaia e migliaia di volontari vennero spontaneamente a dare una mano agli autoctoni e ai soldati.

Il terremoto fu una sciagura ma anche il volano per l'economia, il Friuli che era stata terra poverissima costringendo i figli all'emigrazione, si rialzò presto e trovò in sé la forza per contribuire a creare la macro area imprenditoriale fiorentissima, estesa ad altra parte della pianura padana, che prese poi il nome di Miracolo del Nord Est. Prima fabbriche, poi le case e poi le chiese, era un altro motto la Snaidero riprese a lavorare il 9 maggio, nonostante la fabbrica fosse a Maiano, una delle zone più colpite dal sisma. Oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà a Gemona, che scivolò con le sue case per la friabilità del terreno su cui era stata costruita, poi a Venzone e infine a Udine. Moltissime le manifestazioni oggi, mentre a Villa Manin fino al 3 luglio, vi è una mostra dal titolo “Memorie”, curata da Antonio Giusa, direttore azienda speciale Villa Manin assieme a Corrado Azzolini, Soprintendente Belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. L'obiettivo, come spiega Giusa, è quello di fare “non una celebrazione, ma partire dalla memoria dell'evento e dare un resoconto, anche attraverso la restituzione delle opere e dei restauri”. Nel salone principale di Villa Manin è ricostruita la chiesa di San Giovanni Battista di Gemona, che non esiste più. E' il baccello in cui è stato incastonato il lacunare di 36 tavole del pittore cinquecentesco Pomponio Amalteo. Un capolavoro restaurato e mai più esposto.

Ci sono poi le memorie sonore e visive delle teche Rai, nel racconto dei reporter di allora, tra cui Maurizio Calligaris, Paolo Frajese, Giuseppe Marrazzo, Gianni Minà; i restauri più importanti dei capolavori di Gemona, Colloredo di Montalbano e Venzone; gli inediti fotografici legati al lavoro dell'Accademia di Brera, “Brera per Venzone”, quando studenti e professori idearono un progetto di recupero architettonico insieme alla comunità. La memoria del dono invece racconta il vasto movimento di solidarietà che portò artisti e galleristi statunitensi, tra cui Willem De Kooning, Roy Lichtenstein, Frank Stella, Sol LeWitt, Donald Judd, Robert Mangold, Christo, Carl Andre, a donare le proprie opere aderendo al Friam (Friuli Art and Monument). Ci sono poi i progetti e le realizzazioni per la ricostruzione delle archistar Gino Valle, Marcello D'Olivo e Carlo Scarpa; la rielaborazione del sisma di dieci artisti under 30 provenienti da tutta Europa, dopo una residenza a villa Manin. Infine il filmato di Matteo Oleotto, con le interviste alla gente comune che venne ad aiutare i soccorsi.
Oltre alla mostra di Villa Manin, si può rielaborare la memoria del terremoto nella letteratura e nella saggistica, dalle pagine di “La carrozza di rame” di Carlo Sgorlon (Mondadori 1979) alla ricostruzione del duomo di Venzone, pietra su pietra, di Gian Antonio Stella in “Schei” (Mondadori 2000). Belle le riflessioni del poeta Pierluigi Cappello in “Questa libertà” (Rizzoli, 2013): “Per me i colori del terremoto sono il bianco, il grigio , il nero: il bianco è il colore delle pietre macinate, delle ferite delle case, il grigio è il colore della polvere che copre i vivi e i morti insieme, il nero è il colore degli anziani che si aggirano fra le macerie, disorientati come giraffe nella neve”.

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