Il miracolo sembra riuscito: mentre il risultato delle 19 sembrava confermare le previsioni pessimistiche sulla disaffezione al voto, quello delle 23 le ribalta. Alla fine ha votato il 62,14% degli aventi diritto, una percentuale niente affatto modesta. Sono 16 punti di differenza rispetto al pomeriggio e questo conferma che un numero notevole di elettori si è recato alle urne dopo essere rientrato dalle «gite» o comunque dagli svaghi domenicali.
Il dato è confermato dagli incrementi che si sono registrati nelle maggiori città, in linea con quello nazionale, a volte anche in maniera più sensibile come è il caso di Roma che da sotto il 40 è arrivata al 58,4 (oltre 3 punti in più rispetto alle precedenti amministrative).
Sarà il caso di interrogarsi, una volta spenta l’attesa per conoscere i nomi dei vincitori o di quelli che andranno ai ballottaggi, su cosa abbia determinato questa impennata. La spiegazione sul «rientro» dalle uscite festive ci sta, ma è davvero tutto? Perché se invece ci fosse stata una impennata nella capacità delle varie forze in lizza si mobilitare gli elettori nella fase finale sarebbe anche un dato significativo: vorrebbe dire che dopo tutto le reti mobilitate dal grande numero di liste alla fine si sono rivelate utili per portare un buon numero di gente ai seggi. Se così fosse non sarebbe un dato da sottovalutare, perché andrebbe in direzione di un incremento della frammentazione politica, che non pare un fenomeno di cui rallegrarsi.
Si parla molto di un tripolarismo che avrebbe messo in angolo, se non proprio eliminato per sempre il sogno della politica italiana di avere un sistema bipolare. Indubbiamente il successo dei Cinque Stelle non può essere sottovalutato.
Al di là del caso di Roma, dove non era difficile far leva sulla domanda di azzeramento di una classe politica che, tanto a destra come a sinistra, non è che avesse dato gran prova di sé, il movimento è saldamente radicato: a stare ai primi dati, anche dove non riesce a imporsi come «alternativa» di governo, come nel caso di Torino dove la Appendino con un exploit va oltre il 30%, rimane sempre intorno al 10%, che non è affatto piccola cosa. Tuttavia colpisce il relativo successo di altre formazioni alternative al vecchio bipolarismo della seconda repubblica: mentre il Pd non esce massacrato dal confronto, ma certo non può pretendere quella centralità a cui aspirava e il centrodestra certifica tutte le sue difficoltà interne a meno che non si affidi a un «papa straniero» come a Milano, l’estrema sinistra tiene nonostante tutto e il neo-populismo non ha perso il suo appeal come dimostra il buon risultato di De Magistris a Napoli.
“Colpisce il relativo successo di altre formazioni alternative al vecchio bipolarismo della seconda repubblica”
In sostanza a prima vista, perché le nostre sono analisi a caldo, si assiste a un altro passaggio della lunga transizione italiana. Innanzitutto si vede che la partecipazione, per quanto in flessione, non scende sotto livelli ancora accettabili: i cittadini che si recano alle urne sono ancora un bel po' di più di quelli che si astengono. Tuttavia questa partecipazione non si indirizza più verso i canali tradizionali dei partiti in qualche modo consolidati, ma al tempo stesso non esistono nuove formazioni in grado di costringere questi ultimi a uscire dalla scena. Molto si frammenta, per quanto in questo contesto emerga una forza che al momento è in grado di porsi in competizione reale con le tradizionali forze che erano nate dalla crisi dei partiti della prima repubblica.
Peraltro siamo ancora a livello di competizioni amministrative in cui c’è sì il meccanismo della scelta diretta del sindaco, ma questa non azzera la capacità di presenza degli eletti delle altre liste. Con la legge elettorale maggioritaria, il cosiddetto Italicum, il quadro sarà diverso, ma la lezione di questa tornata amministrativa non potrà essere facilmente messa fra parentesi.
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