L’incontro al Colle era già in programma in vista del vertice Nato di oggi e domani. Ma nel vis a vis tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella protagonista è stata inevitabilmente la cronaca politica degli ultimi giorni e gli scenari dei prossimi mesi, a partire dal referendum costituzionale che si terrà - questo è quanto è emerso nel corso del colloquio - a ottobre o al massimo il 6 novembre, per evitare il ponte di Ognissanti.

Il premier è convinto che non ci saranno sorprese, che l’area del dissenso tra i centristi è circoscritta e che dunque martedì, quando l’Aula del Senato sarà chiamata ad approvare il ddl sulla riforma del bilancio degli enti locali, che richiede la maggioranza assoluta, ci saranno più dei 161 voti necessari al via libera. Ma se così non fosse per Renzi, e lo ha ripetuto anche al Capo dello Stato, l’unica strada è il ritorno immediato alle urne. Sarebbe questa la linea che porterebbe da segretario del Pd. Vale per un eventuale incidente parlamentare ma anche in caso la riforma costituzionale venisse bocciata.

Il referendum per Renzi resta lo spartiacque di questa legislatura e qualora prevalessero i «no» lui e il suo partito dovrebbero trarne le conseguenze chiedendo le elezioni. Una prospettiva che il Quirinale non può sposare. Non in assenza di una legge elettorale che uniformi il sistema di voto di Camera (dove vige l’Italicum) e Senato (Consultellum ovvero proporzionale) per garantire la governabilità. Anche perché la scadenza referendaria cade proprio durante la sessione di Bilancio e quindi si dovrebbe approvare la legge di Stabilità. In assenza di questa condizione, l’ipotesi più plausibile sarebbe quella del cosiddetto «governo di scopo». Almeno è quello che si continua a ripetere nei corridoi parlamentari, dove le fibrillazioni interne ai centristi di Agelino Alfano hanno fatto proliferare le ipotesi di possibili governi alternativi.

Dal Quirinale fanno sapere che Mattarella non intende andare dietro a «ricostruzioni fantasiose» sulle posizioni che assumerebbe in caso di crisi. Nessuno metta in dubbio il suo ruolo super partes, è il messaggio. Il Capo dello Stato, viene assicurato, non ha pronti piani alternativi e non ha intenzione di anticipare decisioni su quanto potrebbe accadere tra alcuni mesi.

La distanza di posizioni tra il premier e il Capo dello Stato avrebbe reso in alcuni momenti abbastanza teso il colloquio, nonostante le smentite che arrivano dal Colle e da Palazzo Chigi che lo descrivono come sempre «cordiale e disteso».

Ma al di là degli aggettivi resta il fatto che per Renzi il «no» alle riforme impone un ritorno immediato davanti agli elettori, anche con due sistemi elettorali diversi. Nessuna personalizzazione, ribadisce il premier, che durante il confronto con Mattarella ha parlato anche del cosiddetto «spacchettamento» del referendum, ossia della possibilità, avanzata già nei mesi scorsi dai radicali e poi ripresa anche da altri, di presentare più quesiti agli elettori (ad esempio titolo V e abolizione del bicameralismo).

Renzi finora non ha fatto mistero di preferire un’unica scheda. Tuttavia non ha alcuna preclusione rispetto all’eventuale spacchettamento. Una disponibilità che consentirebbe di entrare maggiormente nel merito della riforma spogliandola del carattere plebiscitario che molti hanno rimproverato al premier.

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