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Mafia, morto a Milano il super boss Bernardo Provenzano: malato da tempo

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l’ex capo di cosa nostra

Mafia, morto a Milano il super boss Bernardo Provenzano: malato da tempo

Bernardo Provenzano (Afp)
Bernardo Provenzano (Afp)

È morto il boss Bernardo Provenzano. Ottantatre anni, malato da tempo, indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato (dopo una latitanza di 43 anni) l'11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone. A dare la notizia del decesso è stato il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia. La moglie e i figli di Provenzano, giunti a Milano il 10 luglio, il giorno stesso sono stati autorizzati a incontrare il loro congiunto. Il capomafia era detenuto al regime di 41 bis nell'ospedale San Paolo di Milano, dove era stato ricoverato il 9 aprile 2014, proveniente dal centro clinico degli istituti penitenziari di Parma.

Grasso: porta con sè tanti misteri e verità
Bernardo Provenzano «porta con sè tanti misteri, pezzi di verità che abbiamo il dovere di continuare a cercare». Così sul suo profilo Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, ex Procuratore nazionale antimafia, ha commentato la morte del boss, ricordando che Provenzano «è stato per decenni il capo di Cosa nostra, macchiandosi di crimini e stragi efferate, nonché il vertice delle più segrete trame del nostro tempo». E che «grazie a una fortissima rete di supporto è stato latitante per più di 40 anni».

Sindaco Corleone: è nostro 25 aprile, no a funerali qui
«La morte di Bernardo Provenzano è una liberazione. Oggi si celebra il nostro 25 aprile. Mi opporrò alla possibilità che si celebrino qui i funerali». È il commento del sindaco di Corleone Lea Savona, alla notizia della morte di Bernardo Provenzano. «Era rimasta una presenza ingombrante - ha aggiunto - nonostante fosse in carcere da parecchi anni. Noi corleonesi continuiamo a pagare un tributo altissimo perché ovunque siamo ricordati come città di mafia».

Legale Provenzano: per me è morto 4 anni fa
«Provenzano per me è morto quattro anni fa, dopo la caduta nel carcere di Parma e l'intervento che ha subito. Da allora il 41 bis è stato applicato ai parenti e
non a lui, visto che non era più in grado di intendere e volere e di parlare da tempo». Così il legale del boss Bernardo Provenzano, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, ha commentato la notizia della morte del “padrino corleonese”. La penalista, viste le gravi condizioni di salute del capomafia, negli ultimi anni ha presentato due istanze di revoca del carcere duro e tre di sospensione dell’esecuzione della pena. Tutte sono state respinte.

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Provenzano, giudice: se scarcerato rischio rappresaglia
I «trascorsi criminali» di Provenzano e il «valore simbolico del suo percorso criminale» lo espongono, «qualora non adeguatamente protetto nella persona» e «trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica», ad «eventuali 'rappresaglie' connesse al suo percorso criminale, ai moltissimi omicidi volontari dei quali è stato riconosciuto colpevole, al sodalizio malavitoso» di cui è stato «capo fino al suo arresto». E' uno dei motivi per cui il giudice di
sorveglianza di Milano 2 giorni fa ha detto no alla scarcerazione del boss morto oggi. A settembre 2015 la Cassazione, confermando il regime duro del regime del 41bis, aveva ammesso che condizioni di salute di Bernardo Provenzano erano «gravi» ma aveva affermato che se avesse lasciato il ricovero in regime di 41bis -all'ospedale S. Paolo di Milano in camera di sicurezza - per andare in un reparto ospedaliero comune, il boss sarebbe stato «rischio sopravvivenza» per la “promiscuità” e le cure meno dedicate.

Provenzano malato da tempo
Tutti i processi in cui era ancora imputato, tra cui quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, erano stati sospesi perché il boss, sottoposto a più perizie mediche, era stato ritenuto incapace di partecipare. Grave stato di decadimento cognitivo, lunghi periodi di sonno, rare parole di senso compiuto, eloquio assolutamente incomprensibile, quadro neurologico in progressivo, anche se lento, peggioramento: è questa l'ultima diagnosi che i medici dell’ospedale avevano depositato. Nelle loro conclusioni i medici dichiaravano il paziente «incompatibile con il regime carcerario», aggiungendo che «l'assistenza che gli serve è garantita solo in una struttura sanitaria di lungodegenza».


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