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Inchiesta sulla corruzione scuote la Marina militare a Taranto

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Inchiesta sulla corruzione scuote la Marina militare a Taranto

La Marina militare di nuovo nella bufera a Taranto. Dopo le mazzette versate dagli imprenditori agli ufficiali e ai sottufficiali per ottenere il pagamento dei lavori effettuati, spunta un nuovo caso: soldi versati a due titolari di un'azienda per una fornitura di carne mai effettuata alla nave Cavour, di base a Taranto, dove la Marina, tra stazione navale, Arsenale, scuole di addestramento e vari enti, conta una presenza importante. La forza armata intanto dichiara piena collaborazione alla Magistratura e assicura più controlli contro la corruzione.

La nuova indagine coinvolge quattro persone: due imprenditori di Taranto, un ufficiale e un sottufficiale della stessa Marina. Su disposizione dell'autorità giudiziaria, la Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro preventivo nei confronti dei due imprenditori. La loro azienda avrebbe ottenuto dalla Marina il pagamento di 50mila euro per una fornitura di carne alla mensa della nave Cavour, che però non è mai stata effettuata. Tra i quattro indagati c'è il capitano di fregata Alessandro Dore, uno degli 11 imputati nella prima inchiesta sulle forniture alla Marina. Dore, all'epoca dei fatti ora contestati, era a bordo della Cavour con la qualifica di commissario addetto alla gestione amministrativa e alla logistica. La Finanza è giunta ai quattro indagati effettuando una verifica fiscale sulla fattura relativa alla fornitura alimentare. Per la Finanza, quel quantitativo di carne non è mai stato consegnato alla nave, l'azienda dei due imprenditori non ha i mezzi per trasportarla, e inoltre quella merce è stata fornita all'azienda del Tarantino da un'altra del Nord ma in un arco temporale lungo e non in una sola occasione come, invece, risulterebbe dalla fattura contestata dalla Finanza. “La Marina Militare - si legge in una nota -, in seguito alle indagini sulla fornitura di carne a nave Cavour, esprime il pieno sostegno all'azione della Magistratura ed assicura di aver incrementato al proprio interno le attività ispettive e di controllo finalizzate a prevenire e contrastare il fenomeno della corruzione, a salvaguardia del personale che presta quotidianamente servizio con spirito di sacrificio e senso dello Stato, compiendo il proprio dovere anche a rischio della vita”.

A marzo di due anni fa un capitano di fregata, Roberto La Gioia, responsabile di un ufficio del commissariato, l'ente che sovrintende anche ai pagamenti, fu arrestato in flagranza di reato dai Carabinieri. Aveva appena intascato una busta con duemila euro da un imprenditore. Da lì si sviluppò un'ampia inchiesta da cui emerse che gli imprenditori erano costretti a pagare per avere i pagamenti dalla Marina a fronte di lavori e forniture. In particolare l'imprenditore che permise di incastrare La Gioia disse di aver dovuto versare negli anni tangenti per circa 150mila euro pur di mantenere l'appalto per lo smaltimento delle acque di scarico delle navi militari. Tra casa e ufficio del capitano di fregata, furono trovati circa 44mila euro, ma soprattutto alcune pen drive su cui era annotata la contabilità occulta e la lista delle imprese che pagavano tangenti. Attualmente il gup deve pronunciarsi su 11 richieste di rinvio a giudizio formulate dal pm nei confronti di altrettanti imputati, tutti militari. In quell'occasione fu svelato un vero e proprio sistema corruttivo unito alla pressione che alcuni militari effettuavano sugli imprenditori affinchè pagassero. Scoperto anche il metodo: la tangente imposta era del 10 per cento sull'appalto, somma che poi veniva ripartita tra le persone coinvolte nel meccanismo della truffa applicando una percentuale in relazione alla qualifica e al ruolo svolto. Nel senso che chi era più in alto per funzione e grado, prendeva anche la parte maggiore della “mazzetta”. Gli imprenditori, ha scritto il magistrato, erano con le spalle al muro: erano costretti a pagare.

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