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Per la prevenzione sismica fondi a quota zero

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dopo il terremoto

Per la prevenzione sismica fondi a quota zero

L'Italia della prevenzione sismica è cieca, come al tempo in cui la Tac non aveva fatto il suo ingresso negli ospedali. E, tanto per cambiare, senza neppure un centesimo da investire nello studio nella sismogenetica del territorio nazionale, quella che oltre a stabilire quale energia (magnitudo) sprigionerà una determinata faglia e quali paesi o città colpirà, potrebbe consentire di decodificare in anticipo i sommovimenti della crosta terrestre.

Gli ultimi spiccioli, un milione di euro, sono stati girati dal Dipartimento della Protezione civile all'Ingv nel 2014. «Poi più nulla», allarga le braccia Daniela Pantosti, dal primo agosto («sono stata sfortunata») capo della Struttura terremoti, il centro di ricerca dell'Ingv che tiene a bada anche i vulcani.

Effetti indesiderati dei tagli lineari di spesa e della spending review. Per dispiegare i suoi poteri quasi divinatori, la sismogenetica ha bisogno della caratterizzazione in 3D, l'anatomia di tutte le faglie presenti sul territorio nazionale, esattamente lo stesso ruolo che svolge la Tomografia assiale computerizzata nello scrutare in profondità i traumi e le patologie del corpo umano. Scandisce la Pantosti: «Servirebbero alcune centinaia di milioni per ricostruire nel dettaglio la mappatura antisismica del nostro Paese, un lavoro al quale parteciperebbero università, centri specializzati e naturalmente l'Ingv».

Inutile invocare l'aiuto di Bruxelles. Nei progetti Horizon 2020 per la ricerca non c'è traccia di fondi destinati ai rischi naturali. Chiaro il concetto. La geologa romana insiste per non correre il rischio di essere fraintesa: «Se la faglia del Monte Vettore si fosse caratterizzata prima del sisma, ci avrebbe consentito di conoscere in anticipo dove si sarebbe verificato il terremoto e con quale magnitudo». Un vantaggio decisivo per organizzare una campagna di informazione, preparare per tempo la Protezione civile e varare un programma di radicale ristrutturazione edilizia nei paesi colpiti.

Sulla faglia in questione la scienziata dell'Ingv ha molte meno certezze dei tanti suoi colleghi. «Il dibattito scientifico sulla questione è aperto: la frattura che si osserva in superfice (ripresa da molte tv, ndr) è di cinque chilometri, quella sotterranea quattro volte tanto. È l'una la conseguenza dell'altra? Questo ancora non lo sappiamo. È certo che nella stessa zona di faglie ce ne sono altre, come la faglia dei Monti della Laga e del Gorzano, di Montereale e di Pizzoli. Più a sud c'è quella del Fucino che scatenò il terremoto di Avezzano del 1915, di cui si è appena celebrato il centenario».

L'anatomia delle faglie che punteggiano l'Italia amplierebbe a dismisura le conoscenze scientifiche riportate per esempio nella mappa di pericolosità sismica, stilata per la prima volta due anni dopo il terremoto in Molise dell'ottobre 2002, quando il crollo del tetto trasformò la scuola elementare di San Giuliano di Puglia (della faglia molisana gli studiosi non erano neppure a conoscenza) in una trappola mortale per 27 bambini e la loro maestra. Spiega la ricercatrice dell'Ingv: «Noi dobbiamo conoscere tutto quello che accade attorno alla faglia, auscultare il respiro della terra: il campo di stress che si genera nella crosta, lo stato di fratturazione delle rocce e la circolazione dei fluidi. Informazioni che potrebbero servire a leggere i segnali di futuri terremoti e fornirebbero notizie preziose ai colleghi impegnati sul fronte del dissesto idrogeologico».

Amatrice, tra i tanti tristi primati accumulati in queste settimane, ha pure quello di essere considerata zona altamente sismica dal lontano 1915. Gli annali confermano. E riportano gli esiti distruttivi del terremoto del 1639 e del 1703. Quest'ultimo si estese fino all'Aquila, in Abruzzo, e a Norcia, in Umbria. Tre regioni su quattro colpite per l'ennesima volta dal sisma del 24 agosto.

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