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Nuovi arresti per tangenti scuotono la Marina a Taranto

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Nuovi arresti per tangenti scuotono la Marina a Taranto

La portaerei Cavour a Taranto (AGF)
La portaerei Cavour a Taranto (AGF)

Un nuovo arresto per tangenti scuote la Marina Militare a Taranto, città dove la forza armata ha la sua base più importante. La Guardia di Finanza ha arrestato e condotto in carcere mentre intascava una «mazzetta» il capitano di vascello Giovanni Di Guardo, 56 anni, direttore del commissariato della Marina, l'ente che sovrintende ad appalti e forniture e gestisce la parte economica della stessa forza armata. Insieme all'ufficiale, arrestato anche un imprenditore di Taranto, Vincenzo Pastore, di 69 anni, presidente di una cooperativa di pulizia ma anche sindaco di un piccolo comune della provincia, Roccaforzata, dove è stato rieletto nella scorsa primavera.

I due sono stati fermati e perquisiti nel centro di Taranto dalla Finanza, che li aveva sott'osservazione, e trovati con due buste che contenevano 5mila euro in contanti. Una dazione per un prossimo appalto di pulizia da parte del commissariato. Per loro l'accusa è di corruzione. La Marina ha sospeso Di Guardo in via precauzionale. L'ufficiale era stato inviato a Taranto per riorganizzare la struttura dopo gli ultimi scandali.

La Marina in una nota ribadisce «il proprio pieno sostegno all'azione della Magistratura» sottolineando di aver «incrementato al proprio interno le attività ispettive e di controllo finalizzate a prevenire e contrastare il fenomeno della corruzione per garantire la massima trasparenza e a salvaguardia del personale che presta quotidianamente servizio con spirito di sacrificio e senso dello Stato, compiendo il proprio dovere anche a rischio della vita». L'ultimo arresto si inserisce in un ciclo complessivo di tre serie, sempre per lo stesso motivo. Le due precedenti sono avvenute - su disposizione della Magistratura di Taranto - a marzo 2014 e ad ottobre scorso. Il prossimo 25 novembre il gup di Taranto, Anna De Simone, deciderà se rinviare a giudizio o meno i primi 11 imputati dell'inchiesta.

Secondo l'accusa, gli ufficiali della Marina avrebbero imposto alle imprese dell'indotto un «vero e proprio pizzo» in modo «rigido e con brutale e talora sfacciata protervia». Un sistema che in questi anni «ha causato nel complesso - ha scritto il gip Pompeo Carriere nell'ordinanza di custodia cautelare di alcuni imputati - danni notevoli sia alle singole imprese che all'intera economia locale».

Per il gip, quanto avveniva nell'indotto di Taranto della Marina Militare erano «fatti di concussione continuata di notevolissima gravità in quanto posti in essere nel corso degli anni modo sistematico diffuso con ferrea determinazione a delinquere». Evidente, annotava il gip, «che gli imprenditori siano stati messi “con le spalle al muro”, costretti a pagare una indebita somma di denaro, senza averne alcun vantaggio o interesse (indebito), ma solo per ottenere un proprio diritto».

Nell'indagine sviluppata sinora è emersa anche una particolarità: il 10 per cento imposto all'imprenditore, veniva poi distribuito in base ad una «scala gerarchica» determinata dal grado e dalla funzione amministrativa di ciascun militare. Partendo, come hanno ammesso gli stessi imputati al magistrato, dal 2,5 per cento riservato ai capi e via via a scendere.

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