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Draghi: inflazione verso il 2% a fine 2018

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Draghi: inflazione verso il 2% a fine 2018

La Banca centrale europea potrebbe raggiungere l’obiettivo di avvicinarsi al 2% di inflazione a fine 2018 o all’inizio del 2019, ha detto per la prima volta a Washington il presidente della Bce, Mario Draghi.

Il banchiere centrale ha sostenuto ancora una volta che la politica monetaria può prendere tempo per consentire ai Governi di agire, ma poi questi devono muoversi con la politica di bilancio e le riforme strutturali.

Lo stimolo monetario «non è per sempre», anche se il percorso dell’inflazione verso l’obiettivo di avvicinarsi al 2% (il tasso attuale è allo 0,4%) «dipende dal mantenimento di un sostegno straordinario da parte della politica monetaria».

“Il tasso attuale è allo 0,4%. Secondo le previsioni pubblicate il mese scorso salirà verso l’1% e oltre verso la fine dell’anno e l’inizio del prossimo”

 

L’inflazione, secondo le previsioni pubblicate il mese scorso, salirà verso l’1% e oltre verso la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, per effetti statistici legati al prezzo del petrolio, raggiungerà l’1,6% nel 2018 e, ha detto ieri per la prima volta Draghi, fra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 potrebbe centrare l’obiettivo di stare «sotto, ma vicino al 2%». La Bce presenterà le nuove previsioni macroeconomiche a dicembre, quando potrebbe discutere aggiustamenti al suo pacchetto di misure, compreso il Qe.

Draghi ha spiegato meglio, in una conferenza stampa alla conclusione dei lavori del Fondo monetario a Washington, cosa si aspetta dai Governi. Sulle riforme strutturali, ha ricordato che la politica monetaria offre il tempo per agire e anzi fornisce ai Governi un incentivo, contraddicendo le critiche di parte tedesca secondo cui invece l’azione della Bce toglie loro la motivazione.

«Molte riforme – ha detto – non hanno niente a che vedere con i tassi d’interesse, come quelle dell’istruzione, del sistema giudiziario, le riforme politiche e costituzionali. E anzi possono migliorare l’efficacia della politica monetaria».

Sulla politica di bilancio, ha sollecitato al rispetto del Patto di stabilità, per aumentare la credibilità dei Governi e la fiducia fra di loro, ma ha anche ripetuto che chi ha spazio nei conti pubblici (come la Germania) dovrebbe usarlo per «interventi mirati all’aumento della produttività».

Chi non ha questo spazio, come i Paesi ad alto debito (fra cui l’Italia ndr), «deve lavorare sulla composizione del bilancio, non sulle sue dimensioni, tagliando la spesa corrente, aumentando gli investimenti pubblici, anche in questo caso orientati sulla produttività, ridurre le imposte, specie quelle più distorsive come quelle sul lavoro».

Il banchiere centrale ha difeso l’efficacia della politica monetaria adottata a partire dal 2014: in tre anni ha portato una maggior crescita dell’1,3% e maggior inflazione dell’1,4% e favorito la ripresa del credito. Per ottenere gli stessi risultati degli acquisti di titoli varati lo scorso anno, il cosiddetto Qe, la Bce avrebbe dovuto abbassare i tassi di 100 punti base, cioè dell’1%.

Draghi non ha però offerto indicazioni sulle prossime mosse, salvo ribadire che i comitati tecnici hanno avuto l’incarico di studiare le opzioni per favorire l’applicazione senza scosse del programma, che potrebbe presto incontrare problemi di scarsità di titoli tedeschi. La politica monetaria può avere ripercussioni sul sistema finanziario, ma per ora Draghi non vede un impatto sui conti delle banche né la formazione di bolle speculative.

“«La politica monetaria in tre anni ha portato una maggior crescita dell’1,3% e maggior inflazione dell’1,4% e favorito la ripresa del credito»”

 

La crescita dell’Eurozona è modesta (lo 0,3% del secondo trimestre si confermerà nel resto dell’anno), ma si inquadra in un’economia mondiale, che, secondo le conclusione del comitato ministeriale del Fondo monetario, procede «lentamente e in modo diseguale». A sostenere che l’economia non va così male sono il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che vuol sottrarsi alle pressioni di stimoli fiscali, e quello giapponese, Taro Aso, secondo cui «non bisogna essere troppo pessimisti».

«È assurdo – ha detto il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann – dire che la Germania frena l’economia mondiale».

Ma il comunicato finale sottolinea l’alto livello di incertezza, molta della quale di origine politica o geopolitica, come ha detto lo stesso Draghi. E i ministri difendono la globalizzazione, che mai come ora si è trovata sotto attacco, ma riconoscono la necessità di aggiustamenti. «L’economia mondiale – dicono nel comunicato – ha beneficiato enormemente dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici. Tuttavia, lo scenario è sempre più minacciato da politiche nazionaliste, compreso il protezionismo, e dallo stallo delle riforme. Ci impegniamo a realizzare politiche che affrontino le preoccupazioni di quelli che sono stati lasciati indietro e ad assicurare che tutti abbiano la possibilità di beneficiare della globalizzazione e dal cambiamento tecnologico».

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