E quattro. Stavolta, 30 ottobre 2016 ore 7.40, il terremoto ha sprigionato un'energia mostruosa che non stupisce i sismologi. Fabrizio Galadini, responsabile dell' Ingv dell'Aquila e grande esperto delle 12 faglie che innervano l'Abruzzo e poi si diramano, avvolgendole, in Umbria, Marche e alto Lazio, lo ripete inascoltato da mesi: “Le faglie appenniniche sono in grado di generare terremoti da 6.5 di magnitudo in su”.
Morale: negli ultimi 35 anni, dopo il terremoto dell'Irpinia (magnitudo 6.9), che nel 1980 seppellì quasi 3 mila persone, l'Italia e gli italiani possono dire di essere stati moderatamente sfortunati. Un sisma di magnitudo superiore al settimo grado è un evento con il quale è impossibile misurarsi, una sciagura che semina morti a migliaia. Disastri di fronte i quali gli oltre 22 milioni di italiani che vivono in zona altamente sismiche, tranne rare eccezioni (Friuli in primis), sono del tutto impreparati. Ora, purtroppo, l'Appennino si è risvegliato, e i sismologi parlano di effetto contagio tra le faglie che non promette nulla di buono.
A Norcia, uno degli epicentri di questo sisma a raffiche, non si stupiscono neppure. Tutti, già dalla replica (5.3) avvenuta neppure un'ora dopo, alle 4.33, della scossa che polverizzò Amatrice, si preparavano a uno sciame sismico foriero di non pochi colpi di scena. Dopo i terremoti che hanno colpito Umbria e Marche nel ‘79 e nel '97 la memoria storica non ha avuto il tempo di affievolirsi. I ricordi sono vividi come le paure che li hanno generati. Per questo nel Coc allestito in un enorme garage a pochi metri da Porta Romana, uno dei due ingressi della cittadina, i nursini facevano pazientemente la coda per chiedere tende e casette di legno. Del cemento e delle pietre, malgrado le case siano state ricostruite neppure un ventennio fa, non ci si fidava più. Questi interminabili due mesi hanno confermato quella saggia intuizione. O si va lontano dall'epicentro, con l'aiuto dell'autonoma sistemazione, 600 euro per nucleo familiare, o ci si protegge nelle roulotte, nei camper, negli chalet di legno con ruote, che più di qualcuno, a Norcia come ad Amatrice, è riuscito a recuperare attraverso i soliti giri di amicizie. Un piano di adattamento alla condizione di sfollati osteggiato per sospetti di abusivismo che è andato avanti tra le solite lentezze burocratiche.
“Quello che non fa il terremoto lo fa la burocrazia” scherzava ieri sera (ma non troppo) il sindaco di Norcia Nicola Alemanno. Nessuno, però, si aspettava che stamattina sarebbero crollate la basilica di San Benedetto e la Cattedrale, i simboli di Norcia. Adesso l'ironia annega nello sgomento. La questione si fa maledettamente seria: “Servono uomini, mezzi e quattrini” dice con calma olimpionica ma allo stesso tempo con fermezza il sindaco Alemanno.
A Norcia mancano i soldi persino per ingaggiare una ditta che si dia da fare con le demolizioni. E i mesi (due già sono passati) che mancano per l'arrivo delle casette di legno, appaiono come l'approdo in un'isola che non c'è.
Inutile girarci attorno: la scossa di stamani ha drammatizzato una situazione già al limite del collasso. Il terremoto, dopo la quarta scossa deflagrante e distruttiva nel giro di due mesi, cambia natura. Ora siamo nell'ordine di una catastrofe permanente che ha bisogno della mobilitazione in grande stile dell'Esercito (e non solo). Inutile parlare dei Vigili del fuoco, fondamentali in questo genere di operazioni, cronicamente sotto organico. L'ultima manifestazione di protesta dei discontinui, i 45mila precari su 25 mila permanenti, colorata nei toni ma drastica nei contenuti, si è tenuta a Roma alla fine di settembre. “Vigile precario, soccorso a rischio” era uno degli slogan. La mitigazione del rischio, come la chiamano gli esperti, comincia dalla dislocazione in campo delle forze che portano immediato aiuto e sollievo alle popolazioni. Da oggi l'Italia è un paese in guerra contro il sisma. Non dimentichiamolo.
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