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Sisma devastante, ma più scosse hanno evitato una catastrofe

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la fragilità dell’appennino

Sisma devastante, ma più scosse hanno evitato una catastrofe

(Afp)
(Afp)

Il terremoto che si è verificato questa mattina alle ore 7.40 nell'Italia centrale è stato di magnitudo 6,5, di poco inferiore a quello, di magnitudo 6,8, che il 23 novembre 1980 colpì l'Irpinia e la Basilicata, provocando oltre 2.570 morti. Si inserisce, inoltre, tra i più forti terremoto in Italia degli ultimi 110 anni.

Ma i geologi considerano “una fortuna” che l’enorme energia dell'onda sismica iniziata il 24 agosto scorso si sia distribuita in diverse scosse di potenza medio-alta. Se la potenza si fosse concentrata invece in un unico episodio, si sarebbe potuto assistere a un terremoto di proporzioni catastrofiche. A sottolinearlo e' il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Francesco Peduto.

“Le caratteristiche di questa onda sismica - ha spiegato Peduto all'Agi - è decisamente singolare. Eravamo abituati a rivelare una forte scossa iniziale a cui fanno seguito altre minori, mentre in questo caso abbiamo avuto a due mesi di distanza una scossa molto piu' forte della prima avvenuta il 24 agosto. Eppure questa e' stata una fortuna: se l'enorme energia accumulata si fosse scatenata in un unico episodio, avremmo avuto un terremoto di dimensioni catastrofiche”.

Il sisma odierno, inoltre, è stato più forte di quello del 24 agosto scorso al confine tra Lazio e Marche (nell'area di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto), di magnitudo 6,0, che fece circa 300 morti. E' stato superiore come intensità alle due scosse del 26 ottobre (magnitudo 5,4 la prima, 5,9 la seconda) nell'area di
Norcia, Castelsantangelo e Preci, tra Umbria e Marche, la stessa di questa mattina. La scossa di oggi, inoltre, è stata più forte anche di quella del 6 aprile 2009 all'Aquila, di magnitudo 5,8, che provocò oltre 300 morti.

La scossa ha scatenato una potenza di circa 80 chilotoni, pari a 80.000 tonnellate di tritolo. In pratica, l'effetto è quattro volte superiore a quelle delle bombe atomiche che nel 1945 distrussero interamente le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Il geologo Domenico Angelone, intervistato dall'Agi, spiega che ogni 0,2 magnitudo in più si raddoppia la potenza scatenata da un sisma, in quanto la misurazione Richter procede con una scala logaritmica.

Un sistema complesso di faglie

E' un sistema di faglie estremamente complesso, quello che ha generato i terremoti del 24 agosto nel Reatino, del 26 ottobre fra Perugia e Macerata, e quello di questa mattina, il più forte di tutti con una magnitudo di 6,5,
vicino Norcia. Interpretare il sistema appenninico è difficile e completamente diverso dal considerare faglie lineari, come la celebre faglia di Sant'Andrea, che attraversa la California per 1.300 chilometri.

“Se studiamo la faglia di Sant'Andrea sappiamo di trovarci davanti a un oggetto continuo, che si estende per centinaia di chilometri e quando lungo quella faglia avviene un terremoto sappiamo che ad attivarsi sono porzioni diverse dello stesso sistema”, ha osservato il sismologo Gianluca Valensise, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). “Studiare il sistema di faglie dell'Appennino - ha proseguito - è completamente diverso: le faglie appenniniche sono infatti frammentate, al punto che nell'Italia Centrale la loro
estensione media è compresa fra 10 e 20 chilometri, mentre a Sud riesce a raggiungere 40 o 50 chilometri”.

I terremoti così frequenti nell'Italia Centrale sono quindi generati da queste relativamente piccole faglie, “collegate fra loro in un rapporto dinamico”, ha detto ancora l'esperto. Ad esempio, il terremoto del 26 ottobre è “sicuramente collegato a quello del 24 agosto scorso nel Reatino: se non ci fosse stato il terremoto del 24 agosto, quello probabilmente sarebbe forse arrivato fra 10 o 100 anni”, ha rilevato. All'interno di questo complesso sistema di faglie entra in gioco quello che si può vedere come un “effetto domino”, nel quale ogni volta che
una faglia si attiva e genera un forte terremoto, perturbando porzioni ancora intatte della stessa faglia o altre faglie minori circostanti. Può quindi accadere che le faglie più piccole che si trovano nelle vicinanze si rompano a loro volta,
generando altri terremoti, ossia le repliche del terremoto principale.

Ogni terremoto che avviene nell'Appennino può quindi interessare “tante faglie diverse”, tutte generalmente orientate nella direzione che va da Nord-Ovest a Sud-Est. Il risultato è un movimento di tipo estensionale, ossia una sorta di
'stiramento' della crosta terrestre in corrispondenza dell'Appennino con un conseguente allargamento dell'Italia Centrale.

E' un fenomeno che avviene in modo graduale ma inesorabile, ad una velocità di qualche metro per millennio, lungo tutto l'arco che da dalla Lunigiana allo Stretto di Messina. E' un sistema ormai noto ai sismologi, anche se “delle incognite ci sono sempre”, ha osservato Valensise. La faglia che si è attivata
il 26 ottobre, per esempio, non aveva mai dato chiari segnali di attivazione, né se ne avevano notizie certe sulla base dei terremoti storici.

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