Gli Stati Uniti, potenza economica globale, valgono intorno al 15% dell’economia mondiale. Il dollaro poi, come ricorda AdviseOnly, è circa il 63% delle riserve in valuta estera delle banche centrali. Insomma: i numeri, e ce ne sono tanti altri, da soli fanno capire perchè l’elezione del 45° Presidente Usa catturi l’interesse dei mercati.
Un’attenzione che, a fronte della sempre maggiore incertezza per il testa a testa tra Donald Trump e Hillary Clinton, è aumentata. Tanto che il signor Rossi domanda: qual è la possibile reazione delle Borse dopo l’«election day»? La risposta deve dapprima distinguere tra il breve e il medio periodo. In tal senso Cyber Trade ha analizzato, dal 1960 ad oggi, la performance della singola seduta di Wall Street subito dopo la votazione. Ebbene: i numeri indicano che la metà delle volte l’S&P500 ha chiuso al rialzo; nell’altra metà, invece, ci sono stati dei ribassi.
«Tuttavia - spiega Enrico Malverti autore dell’analisi- ciò che appare interessante è che, dal 1980 in poi,hanno prevalso le chiusure ribassiste. Solamente due volte infatti, nel 1996 e nel 2004, la Borsa ha reagito positivamente alla nomina del nuovo Presidente». Cosa aspettarsi quindi nella seduta di mercoledì prossimo? «Se la statistica venisse confermata dovrebbe esserci, indipendentemente dalla vittoria di un candidato o dell’altro, debolezza nell’azionario. Ciò detto però - aggiunge Malverti -, le variabili in gioco sono molteplici». Soprattutto in una votazione caratterizzata dalla presenza di un outsider come Trump. «Quindi, in questo caso, guardare a cosa è successo nel passato potrebbe non avere grande valore segnaletico». Tanto che, anche rispetto alla reazione delle Borse nell’immediato, diversi esperti fanno distinzione tra i vari scenari ipotizzabili. La situazione più favorevole all’azionario è la vittoria della Clinton. Un contesto dove, peraltro, l’euro-dollaro potrebbe scendere a 1,09. Diversa invece la situazione con Trump vincitore. Qui l’S&P 500 è previsto scivolare verso il basso. Un calo agevolato anche da motivazioni tecniche: il paniere azionario, infatti, è vicino all’importante supporto a 2083 punti. Un’occasione ghiotta per gli investitori ribassisti, soprattutto ultraveloci, che se dal caso si impegneranno a far scattare gli stop loss e spingere più in giù possibile l’indice. Un calo che, peraltro, dovrebbe caratterizzare lo stesso dollaro. Il motivo? L’idea che la Fed, con Trump alla Casa Bianca, freni sul rialzo dei tassi.
Fin qui alcune considerazioni riferite alla risposta «istantanea» degli operatori. Quali invece le prospettive più sul medio periodo? In primis deve sottolinearsi un aspetto «Al di là dei singoli programmi - spiega Guglielmo Manetti, Vice direttore generale di Intermonte Advisory- la Clinton è percepita come un fattore di “continuità”». Per questo, anche se è probabile che la maggioranza della Camera rimanga ai repubblicani, «la sua eventuale elezione è vista positivamente. Diverso, invece, il discorso per Trump. Si tratta, infatti, di un “non politico”». Un outsider che, fino a quando non avrà concretizzato le sue mosse, indurrà molta incertezza e volatilità sui mercati. Così non stupisce che il bene rifugio per eccellenza, l’oro, a fronte della rimonta del candidato repubblicano sia salito oltre 1.305 dollari l’oncia. Una dinamica opposta a quella del peso messicano. Quest’ultimo negli ultimi giorni si è svalutato. La motivazione? Semplice: il Messico ha sfruttato la delocalizzazione della Corporate Usa. Nel momento in cui Trump, oltre a «sognare» l’innalzamento di muri, ipotizza più protezionismo commerciale le prospettive di sviluppo dell’economia messicana diminuiscono. E con loro le quotazioni della moneta locale.
Ma non è solo questione di oro e valute. Diversi settori azionari hanno già reagito in funzione del voto. Il farmaceutico, ad esempio, è sceso. Un trend conseguente al programma della Clinton che punta ad evitare l’ingiustificato rincaro dei medicinali. Le prospettive? Non così negative in quanto, per l’appunto, l’impatto è in larga parte già scontato. Ciò detto quale il “portafoglio democratico”? Ne dovrebbero certamente fare parte i titoli tecnologici e delle energie alternative. In quello “repubblicano”, invece, sono di diritto inseriti la difesa e i petroliferi.
Infine i titoli di Stato: con la Clinton la curva dei rendimenti è destinata a consolidarsi. Sotto Trump, invece, dovrebbe aumentare la sua inclinazione. Le scadenze brevi, infatti, cancellerebbero l’ipotesi rialzo dei tassi. Mentre lo yield del decennale, a fronte della previsione di maggiore debito, alzerebbe la testa.
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