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Dossier Se la protesta è più forte della ripresa economica

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Se la protesta è più forte della ripresa economica

(Afp)
(Afp)

NEW YORK – Ieri abbiamo avuto un buon dato sull'occupazione, in ottobre ha tenuto. Meglio ancora: il reddito medio è aumentato, di poco rispetto al mese precedente, ma del 2,8% rispetto a un anno fa. Aggiungiamo che il numero complessivo dei nuovi occupati nel periodo Obama è stato di 15 milioni di persone. Servirà qualcosa a Hillary Clinton? No. Perché un dato statistico senza ricadute per il grande pubblico serve poco o niente. E non saranno pochi dollari al mese in più a cambiare l'equazione di fondo che ci ha portati a tre giorni dalle elezioni americane in un testa a testa senza quartiere fra Hillary Clinton, agente per la continuità e Donald Trump, alfiere della rivoluzione sileziosa.

Giunti all'ultimo fine settimana di fuoco, alle ultime schermaglie, comizi, dibattiti, colpi bassi per decidere queste elezioni americane per la Casa Bianca del 2016 sappiamo bene quanto queste elezioni siano fondamentali per la tenuta o meno di un certo ordine multilaterale.

Da martedì sapremo qualcosa di più e di altrettanto importante: avremo la misura di quanto sia radica e diffusa la lotta contro lo status quo, quella per dare sfogo all'insofferenza, alla rabbia per le difficoltà del giorno per giorno per le sperequazioni. Oggi è questa lotta, la lotta dei ceti dimenticati che partì con Pat Buchanan decenni fa, quando sembrava che la frangia a cui dava voce il candidato della destra repubblicana non potesse mai diventare “mainstream”, è questa lotta dei diseredati che cerca di distruggere Hillary Clinton, e con lei il sistema che rappresenta.

Buchanan, sconfitto in ogni primaria non conquistò mai la nomination, ma disse quando abbandonò del tutto che la filiera dietro il suo successo di minoranza non si sarebbe spenta, al contrario si sarebbe rafforzata. Ha avuto ragione, perché oggi il candidato Trump il portatore della fiaccola di chiusura, irritazione, razzismo di Buchanan potrebbe anche vincere la presidenza degli Stati Uniti d'America.

Gli ultimi dati in realtà appaiono rassicuranti per la campagna democratica. Il recupero forsennato di Donald Trump ieri si era stabilizzato. Le probabilità di vittoria per il Donald, aumentate a un ritmo di 2-4 punti al giorno, passando dall'11% al 35,4% di ieri stanno cominciando a stabilizzarsi. Hillary è scesa al 64,5%. Anche i margini sui voti elettorali restavano a vantaggio della Clinton, in alcuni casi, ad esempio per il Wall Street Journal, aveva ancora un vantaggio di 278 seggi elettorali contro il 215 di Donald Trump. Non solo, circa 37 milioni di voti anticipati sembrano avere connotazione demografiche che dovrebbero favorire Hillary soprattutto nella componente ispano americana che ha mostrato un aumento rilevante rispetto al 2012. Per questo FiveThirtyEight si è spinto ancora più in là e attribuisce a Hillary 292 voti elettorali contro i 245 di Trump. Per vincere ce ne vogliono 270. Ma sulla base del coto popolare il distacco si è ridotto in alcuni casi all'1,5% e nei casi più ottimistici al 2,9%.

Troppo poco, la certezza statistica delle previsione interviene quando si supera il 4%. Aggiungiamo la sindrome Brexit ed ecco che il quadro è completo: non può essere un dato positivo e tardivo sull'occupazione ad aiutare Hillary. Sarà piuttosto la forza della protesta che si formò con Pat Buchanan a determinare l'esito di queste elezioni. E anche se non ce la facesse, dovremo comunque prendere atto che i tempi sono cambiati. Che la “lotta” continuerà ben oltre le elezioni. Almeno fino a quando le statistiche si trasformeranno da numeri in certezze di benessere più sicuro per le classi medie.

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