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Casse e fondi, sgravi a chi investe in obbligazioni

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IL CANTIERE DELLA MANOVRA

Casse e fondi, sgravi a chi investe in obbligazioni

Per i fondi pensione e le casse previdenziali intenzionate a cogliere la nuova agevolazione fiscale prevista in legge di Bilancio per investire volontariamente e a lungo termine nell’economia nazionale si apre un nuovo canale. Il Governo è infatti intenzionato ad andare oltre gli sgravi previsti per la sottoscrizione di azioni (o quote di imprese) e le quote in fondi comuni di investimento (Oicr) ed estendere l’operazione anche alle obbligazioni.

La mossa arriverà con un emendamento al comma 2 dell’articolo 18 del disegno di legge di Bilancio, attualmente al vaglio della Camera, in cui si confermerebbero, anche per la sottoscrizione di titoli obbligazionari, gli stessi vincoli attualmente previsti per questi «investitori pazienti»: l’utilizzo di una quota massima del 5% dei loro attivi patrimoniali per un periodo non inferiore ai cinque anni.

L’incentivo fiscale rimane lo stesso previsto ora: esenzione dei redditi da capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria (escluse le partecipazioni qualificate) derivanti da investimenti destinati all’economia reale. Vale ricordare che attualmente l’aliquota di tassazione sui rendimenti dei fondi pensione è al 20% mentre quella applicata alle casse, che possono effettuare una gestione diretta, è al 26%, mentre solo per gli investimenti in titoli di Stato l’aliquota è al 12,5 per cento. Se la misura incontrasse un’adesione piena, si potrebbero trasferire risorse finanziarie su investimenti per la crescita, le infrastrutture e gli asset legati allo sviluppo per circa 11 miliardi, tale è la quota degli attivi patrimoniali di questi investitori istituzionali. Gli ultimissimi dati Covip sulla previdenza complementare del terzo trimestre riferiscono di un patrimonio accumulato di 146,4 miliardi (+4,5% rispetto alla fine del 2015) con rendimenti aggregati netti positivi per i fondi negoziali (+2,2%) e per i fondi aperti (+1,1%).

Secondo Mauro Marè, presidente di Mefop, «la nuova forma di agevolazione diretta rappresenta un sicuro passo avanti rispetto allo schema di credito d’imposta che era stato introdotto lo scorso anno al medesimo fine con un costo per lo Stato in termini di minori entrate per 80 milioni rimasto in larga parte non utilizzato». Nella vecchia impostazione si indicava una lista di investimenti qualificati come ammissibili al credito d’imposta (escluse erano le banche) che ora non c’è più. Le azioni, le quote di fondi comuni di investimento e, se verrà confermata la correzione governativa, le obbligazioni, devono essere di imprese residenti in Italia o nell’Unione europea oppure negli Stati che aderiscono all’accordo sullo Spazio economico europeo (sono 31: tre dei quattro paesi aderenti all’Associazione Europea di Libero Scambio (AELS, ovvero Islanda, Liechtenstein e Norvegia, senza la Svizzera e i 28 paesi membri dell’Unione europea).

La misura funzionerà se riuscirà a cambiare gli orientamenti finora seguiti dagli amministratori dei Fondi pensione e se, soprattutto, scardinerà gli automatismi dei benchmark con cui lavorano i gestori. Per capire da dove dovrebbe partire la lunga marcia dei fondi pensione italiani verso l’obiettivo di investimenti diretti nell’economia nazionale basta guardare una grafica pubblicata nell’ultima survey dell’Ocse sulle scelte di portafoglio effettuate nel 2015. Su una selezione di circa cinquanta grandi fondi pensione si scopre che i tre italiani in esame (Cometa, con un patrimonio di circa 10,8 miliardi $; Fonchim, 5,7 miliardi $; Fonte, 3,3 miliardi $) spiccano nella classifica dei fondi che hanno scelto di investire all’estero. Fonchim, il fondo negoziale dei chimici, ha investito per l’87,5% all’estero nel 2015, ed è il top della classifica. Il fondo Fonte, vale a dire il fondo negoziale del terziario, ha un portafogli estero-vestito per quasi il 70%, mentre il Cometa, dei metalmeccanici, lo è per il 47%. Secondo i dati Covip, negli ultimi dieci anni, quelli della più grande crisi finanziaria globale dopo il 1929, i fondi pensione italiani hanno ottenuto mediamente un rendimento attorno al 40%, con oltre il 90% delle gestioni sopra il Tfr, che ha reso meno del 27% nello stesso periodo. Quindi la scelta di puntare sull’estero, fatta non certo con l’intenzione di voltare le spalle al proprio Paese, è stata più che adeguata. Ora bisognerà capire se si apriranno occasioni concrete, altrettanto redditizie e poco rischiose all’interno dei nostri confini.

L’esenzione sui rendimenti di Fondi e Casse che investano in Italia in chiave di «investitore paziente» rappresenta, almeno sulla carta, un formidabile attrattore anche per i Fondi pensione stranieri che scegliessero di inserire più titoli nazionali nei loro portafogli. E se questi investimenti arrivassero si innescherebbe un ulteriore stimolo per i nazionali a fare altrettanto. La misura, nella sua versione attuale, non comporta impatti negativi per i saldi. Le minori spese derivanti dalla cancellazione del vecchio credito d’imposta compensa l’avvio di questa detassazione, che diventerebbe onerosa dal 2019 in avanti quando comincerebbero a pesare le minori entrate (-13 milioni; -17 milioni nel 2020) se Fondi e Casse investissero davvero in sviluppo il 5% dei loro asset.

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