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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

Referendum, perché no: un ritorno al centralismo che ci allontana dalla Ue

Ansa
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In un interessante articolo pubblicato sul Sole 24 Ore (si veda l’edizione del 6 novembre scorso) Sergio Fabbrini scrive che «sulle grandi questioni che sono al centro delle preoccupazioni dei cittadini (crisi economica, immigrazione, terrorismo, sicurezza) le decisioni vengono prese dai capi di governo che si riuniscono nel consiglio (…). Lì contano le qualità personali del leader, ma soprattutto la credibilità del Paese (…) credibilità che dipende dalla continuità dell’azione del Governo». L’articolo tende a dimostrare che solo attraverso le “modifiche” alla Costituzione potremo avere credibilità e “valore europeo”. In verità la credibilità di un paese dipende dalla capacità di risolvere i problemi che sono proprio quelli indicati da Fabbrini, ai quali aggiungo il problema del Mezzogiorno e delle aree meno sviluppate.

Le riforme che gli organismi europei hanno richiesto più volte hanno questo obiettivo: mettere mano al sistema della spesa pubblica e sistemare i conti. Nessuno ci ha chiesto una riscrittura della Costituzione. Le riforme chieste da Bruxelles sono quelle in grado di adeguare la struttura dello Stato alle nuove esigenze dello sviluppo, individuare una strategia politica per le industrie e per le imprese, garantire un’amministrazione ben funzionante, una giustizia efficiente livello di istruzione. Non una riscrittura disadorna della Costituzione.

Le “modifiche” costituzionali ridimensionano la complessa struttura democratica periferica delle Province, con un ruolo meramente amministrativo non più programmatorio delle Regioni e il ridimensionamento del voto degli elettori, e portano ad un governo centralista lontano dagli interessi dei territori. Le battaglie di tanti anni portate avanti soprattutto dalla classe dirigente e dai cittadini del Mezzogiorno hanno consentito il superamento del governo centralista e la creazione di una struttura periferica. Ora si torna ad un governo centralista di vecchia memoria. Altro che rinnovamento.

Una società complessa come la nostra ha bisogno di istituzioni vicine al cittadino. Il nuovo Senato sarà invece composto sulla base di scelte dei Consigli regionali e non con il voto degli italiani: una configurazione istituzionale che genera crepe nel principio di sussidiarietà che finora ha garantito un minimo di armonia europea e di efficacia istituzionale. Si tratta, dunque, di modifiche che ci allontanano dall'Europa.

Come si può immaginare che il superamento del bicameralismo (che comunque la “riforma” non realizza) possa risolvere il “problema della credibilità”? Le due maggioranze politiche della Camera e del Senato ancorché diverse non hanno impedito all'Italia di essere fondatore dell'Europa né di essere protagonista: perché allora far credere che una modifica della Costituzione possa determinare di per sé un rapporto diverso con l'Europa? Le vicende dei lunghi anni del dopo guerra dimostrano anzi che il ruolo del Senato e la doppia fiducia data al governo non hanno rallentato alcunché. Semmai hanno determinato un miglioramento delle leggi e hanno rafforzato il Governo.

La Carta costituzionale è una cornice che ha la sua ragione d’essere, come proclamava il grande Tocqueville, per «evitare la dittatura della maggioranza»: costituisce un limite al potere politico e, quindi, non può essere un atto politico. Essa fissa le regole democratiche che consentono la funzione politica e amministrativa del Governo, il ruolo e la funzione dei partiti. È una mania tutta italiana quella di pensare di risolvere i problemi modificando le norme. Si è cominciato negli anni ’90 modificando la legge elettorale proporzionale introducendo il “mattarellum” pensando di curare i mali della politica e dei partiti, e abbiamo aggravato la situazione. Ora si pensa di risolvere le nuove crisi modificando la Costituzione, cambiando la Repubblica italiana che non sarebbe né parlamentare né presidenziale: un ibrido. Non avremo un valore europeo ma saremo un equivoco per l’Europa.

Il presidente del Consiglio - che in maniera del tutto anomala conduce la campagna elettorale - ha detto come “voce del sen fuggita” che «il Governo passa il tempo a difendersi dal Parlamento». Il ruolo del Parlamento è quello di esercitare il controllo e questa è l’armonia costituzionale tra poteri che, secondo la Costituzione, debbono essere controllati e condizionati. Questa è la democrazia, che dovrebbe essere superata da un efficientismo di corto respiro dimenticando che per risolvere problemi è necessario non il comando di uno ma l’accordo di chi condivide responsabilità e prerogative. Pensavamo di non dover ripetere una cosa elementare: che la democrazia è ricerca del consenso e che un governo che pensa di decidere da solo non determina stabilità ma incertezza e provvisorietà. E non vi sono “qualità personali” che possono determinare “credibilità”.

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