
Oscurata dal tema più politico dell’abolizione del Senato elettivo e del conseguente superamento del bicameralismo perfetto, la riforma del Titolo V della Costituzione è altrettanto importante della riforma del Senato e - se il 4 dicembre vincerà il Sì al referendum confermativo del Ddl Boschi - avrà un impatto diretto su imprese e cittadini. Più che di una riforma si tratta in questo caso di una contro-riforma, dal momento che raddrizza «l’albero storto» (l’espressione fu usata allora da Giulio Tremonti) del federalismo all’italiana. Quello varato in fretta e furia dal centrosinistra nel 2001 nel tentativo di
strappare la “bandiera” alla Lega Nord in crescita. Tentativo com’è noto non riuscito, dal momento che il candidato premier Francesco Rutelli fu sconfitto da Silvio Berlusconi. Ma per via dell’introduzione nell’articolo 117 della Costituzione di un elenco di «materie di competenza concorrente» tra Stato e Regioni, quella riforma ha contribuito a trasformare i conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni nel maggior numero di cause che la Corte costituzionale ha dovuto affrontare negli ultimi anni.
L’albero infine è stato raddrizzato - anche se restano zone oscure - proprio a partire dalla scelta di cancellare del tutto l’elenco di materie concorrenti tra Stato e Regioni. Già questo, di per sé, dovrebbe ridurre fortemente il contenzioso tra Stato e Regioni di fronte alla Consulta. Certo, i conflitti ci saranno lo stesso anche con la nuova riforma, perché nessun elenco di materie per quanto preciso potrà mai eliminarli e anche perché allo Stato per alcune materie è tornata la competenza generale lasciando alle Regioni l’”organizzazione” sul territorio.
Due esempi: se torna allo Stato l’ordinamento delle professioni, l’organizzazione della formazione professionale resta alle Regioni; se torna allo Stato la competenza sulle disposizioni generali e comuni sul turismo, alle Regioni resta la valorizzazione e l’organizzazione regionale del turismo. Tuttavia con l’istituzione di un Senato delle Autonomie che avrà prevalentemente funzioni di controllo e coordinamento tra i diversi livelli di legislazione (europea, statale e regionale) si iniettano in un certo senso gli anticorpi: il nuovo Senato, libero dai vincoli di fiducia con il governo, è il luogo politico deputato a dirimere preventivamente le possibili controversie.
Oltre ad investire la Corte di un ruolo improprio, il contenzioso tra Stato e Regioni ha contribuito in questi anni a rendere incerte regole e tempi per imprese e cittadini intenzionati a fare scelte economiche. In questo senso è positivo il ritorno in capo allo Stato, come competenza esclusiva, di una ventina di materie strategiche per lo sviluppo economico del Paese: dalle «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione» al «trasporto e distribuzione dell’energia». Una risistemazione da cui potrà trarre vantaggio tutta l’economia, dal momento che sono stati riportati alla competenza statale anche temi trasversali come le «politiche attive del lavoro», o la «tutela e la sicurezza del lavoro», la cui declinazione federalista in questi anni ha costretto spesso le imprese più grandi, presenti in più regioni, a districarsi tra decine di regole territoriali diverse per i contratti di formazione, gli apprendistati e le altre forme di inserimento professionale.
Inoltre, e questo incide direttamente sulla vita dei cittadini, la riforma specifica che è di competenza statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e le «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare». Qui l’intenzione del legislatore è quella di meglio tutelare, in tutto il territorio nazionale, diritti essenziali di cittadinanza come la salute e il lavoro attraverso norme generali e indicatori di costo e di fabbisogno.
La ri-centralizzazione che disegna la riforma Boschi è sottolineata anche dalla cosiddetta clausola di supremazia dello Stato, laddove si stabilisce che «su proposta del governo la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Di contro viene rafforzato l’attuale articolo 116 sul federalismo differenziato: ossia le Regioni più virtuose dal punto di vista dei conti pubblici (la condizione è l’equilibrio del bilancio) possono chiedere allo Stato l’ampliamento delle proprie competenze in determinate materie (politiche sociali, politiche attive del lavoro, formazione professionale, ambiente). Un federalismo flessibile, insomma: da una parte il governo interviene dove c’è inefficienza, dall’altra lascia spazio dove c’è efficienza e i servizi funzionano.
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