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Grillo «congela» espulsioni e caso Roma

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Grillo «congela» espulsioni e caso Roma

Dopo le quattro sospensioni comminate dal collegio dei probiviri per il caso firme false a Palermo, la linea dei vertici M5S è chiara: serrare i ranghi fino al referendum, tenendo alta la bandiera del No anche per incassare politicamente l’eventuale bocciatura della riforma costituzionale, poi affrontare i nodi irrisolti interni al Movimento. Che restano sostanzialmente due: la gestione dei tre deputati sospesi, con gli sviluppi delle inchieste nel capoluogo siciliano e a Bologna, e il fronte romano. Perché, a dispetto delle uscite pubbliche della sindaca (sabato scorso alla marcia per il no con Grillo, ieri alla presentazione del rapporto statistico sulla città metropolitana con Luigi Di Maio), i malumori verso la giunta capitolina di Virginia Raggi non si sono affatto sopiti.

I fascicoli aperti dall’Anac a Roma
I fascicoli aperti dall’Anac e dalla procura sul capo del personale Raffaele Marra e la nomina di suo fratello Renato alla direzione turismo hanno anzi acuito l’insofferenza di chi dall’inizio chiede un allontanamento o almeno un depotenziamento di Marra (definito dalla deputata Roberta Lombardi «il virus che ha infettato il Movimento») e che invece ha dovuto ingoiare più di un boccone amaro. Il “tagliando” per la giunta Raggi è già previsto per gennaio.

I deputati siciliani sospesi per le firme false
Più a stretto giro dovrà risolversi la questione dei tre deputati nazionali (tra i 13 indagati a Palermo) Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, sospesi in fretta e furia lunedì sera dopo che Nuti e Mannino davanti ai pm si sono avvalsi della facoltà di non rispondere (di «ferita e tradimento» avrebbe parlato lo stesso Beppe Grillo). Entro dieci giorni dalla decisione dei probiviri, dunque entro l’8 dicembre, potranno scegliere se inviare le proprie controdeduzioni e rivolgersi al comitato d’appello composto da Lombardi, dal senatore Vito Crimi e dal capogruppo all’Ars Giancarlo Cancelleri, leader del M5S in Sicilia.

La linea di Di Maio
Nel frattempo, vanno chiariti i loro margini di manovra: saranno costretti a iscriversi al Misto? Lo statuto del gruppo a Montecitorio sembra prevedere la necessità di un’assemblea che voti a maggioranza assoluta sull’eventuale trasferimento ad altro gruppo. L’intesa tacita è che i sospesi per ora non intervengano in Aula o in commissione con il simbolo M5S. E che si segua l’evolversi delle inchieste per valutare i prossimi passi, espulsioni comprese. Senza contare che occorre anche rimettere in moto la macchina in vista delle amministrative del 2017: le “comunarie” palermitane sono state congelate. È stato Di Maio, ieri, a difendere la reazione del M5S: «Abbiamo chiesto la sospensione, e chi non si è sospeso è stato sospeso dai probiviri. Negli altri partiti fanno carriera gli indagati o i condannati per firme false».

La campagna M5s per il No al referendum
Le energie sono comunque concentrate sul referendum. I parlamentari Cinque Stelle hanno lanciato l’affondo sulla campagna referendaria Pd: «Renzi stalker, brucia soldi pubblici». Dal blog di Grillo è partita la chiamata a raccolta per l’evento conclusivo del Treno Tour per il no, venerdì a Torino. Ci sarà lo stato maggiore del Movimento, dal comico genovese agli eletti, fino alle sindache Appendino e Raggi. Tutti “sorvegliati speciali” dalla stampa estera. Ieri Buzzfeed, noto sito di informazione Usa, ha accusato il M5S di aver costruito un network di siti e account sui social che «diffonde notizie false, teorie complottiste e propaganda del Cremlino». Una «bufala», replicano i grillini. Mentre il Wall Street Journal mette in guardia: dopo Brexit e Trump, l’Italia potrebbe essere «la prossima fermata della marcia globale del populismo».