Se è vero, come recentemente ha ribadito anche l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che l’obiettivo della riforma costituzionale non è certo quello «di ridurre il numero dei parlamentari, ma di avere un sistema più snello e un Senato rappresentativo delle realtà territoriali», il tema del risparmio, della riduzione dei costi della politica è stato fin dall’inizio al centro del confronto, o meglio dello scontro sul ddl Boschi. Del resto il titolo della legge che viene riproposto nel quesito referendario, e che ritroveremo sulla scheda il 4 dicembre, parla esplicitamente di «riduzione del numero dei parlamentari» e di «contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni» oltreché della «soppressione del Cnel».
A parte l’unanime condivisione per la cancellazione del Cnel, che attualmente pesa per circa una ventina di milioni di euro annui, sul resto, a partire dalla riduzione da 315 a 100 dei senatori e dalla loro sostituzione con i consiglieri regionali lo scontro è stato ed è durissimo. Le stime più ottimistiche fatte dal governo parlano, a regime, di un risparmio che potrebbe raggiungere i 500 milioni di euro. Una cifra che sarebbe il prodotto non solo del taglio delle indennità ai 315 senatori attuali ma anche della soppressione delle province e della minore spesa consentita per il funzionamento degli organi regionali.
Il fronte del No contesta questa previsione, sottolineando che, come prospettò nel 2014 uno studio della Ragioneria dello Stato, il risparmio sul Senato si fermerebbe ad appena a 57,7 milioni, l’anno mentre non sarebbe quantificabile quello relativo alle province. Questo perché i costi di gestione del personale e degli stessi immobili che attualmente ospitano senatori e strutture provinciali continuerebbero a pesare sulle casse pubbliche e in ogni caso, per quanto concerne le province, non sarebbe la nuova Costituzione a determinare i risparmi bensì le norme introdotte dalla legge Del Rio già in vigore.
Una tesi ovviamente contestata dal governo e dai sostenitori del Sì, per i quali la “decostituzionalizzazione” delle province porterà a un risparmio di 350 milioni di euro l’anno. Una cifra che però secondo la Corte dei conti dovrebbe invece oscillare tra i 100 e 150 milioni ma non oltre. Altrettanto significativo, anche se inferiore, è la riduzione delle funzioni del Senato e il taglio delle indennità (i futuri senatori verranno pagati dalle Regioni in quanto consiglieri regionali) che dovrebbe portare a un taglio di circa 150 milioni l’anno, di questi 30-40 sono da imputare agli attuali “stipendi” dei senatori e altrettanti dalla riduzione dei trattamenti del personale. Altri 30 milioni circa sarebbero invece frutto della riduzione dei compensi ai consiglieri regionali e all’eliminazione dei contributi ai gruppi.
Ci sono infine i risparmi che per il governo si otterranno grazie alla semplificazione del rapporto tra Stato e Regioni, che è stato negli ultimi dieci anni al centro del contenzioso presso la Corte costituzionale. Anche in questo caso si tratta per il fronte del No di un falso risparmio perché le nuove disposizioni costituzionali rischiano di aumentare ulteriormente il conflitto tra centro e periferia.
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