Omicidio preterintenzionale. Con questa accusa la procura di Roma ha chiuso l'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009, contestando il reato ai tre carabinieri autori dell’arresto di pochi giorni prima. I militari sono ritenuti responsabili del pestaggio del giovane geometra mentre per altri due carabinieri vengono ipotizzati la calunnia e il falso.
Per quanto da confermare dai giudici in sede di decisione, è una svolta. Per molti versi clamorosa. «Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d'ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio» è stato il commento a caldo della sorella Ilaria. Alla fine l'attacco epilettico del quale è stato vittima Cucchi nei giorni di detenzione dopo il suo arresto, citato in una perizia fatta in incidente probatorio, non figura tra le cause che hanno causato il suo decesso. Nella perizia svolta dal professore Francesco Introna su incarico del gip si faceva invece riferimento ad un attacco epilettico come probabile causa della morte del giovane.
«Ricordate la foto del mio pianto il giorno della lettura della sentenza di primo grado? Ci gettiamo alle spalle sette anni durissimi, di dolore, di sacrifici, di tante lacrime amare. Ma valeva la pena continuare a crederci». In poche parole di Ilaria, lo sfogo di soddisfazione (necessariamente parziale) per un esito a lungo atteso. «Bisogna fidarsi della giustizia».
«Schiaffi, pugni e calci» al giovane
L'accusa di omicidio preterintenzionale viene contestata ad Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, carabinieri in servizio all'epoca dei fatti presso il comando stazione di Roma Appia e che fermarono Cucchi in flagranza per detenzione di droga. Tedesco è accusato anche di falso. A Roberto Mandolini, comandante interinale della stessa stazione di Roma Appia sono attribuiti i reati di calunnia e falso. Accusa di calunnia anche per lo stesso Tedesco, e per Vincenzo Nicolardi, sempre uomo dell'Arma.
Stefano Cucchi fu colpito dai tre carabinieri con «schiaffi, pugni e calci», scrivono il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone ed il sostituto Giovanni Musarò nell'avviso di chiusura indagine. Le botte, per l'accusa, provocarono «una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale» che «unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte».
False accuse agli agenti della Penitenziaria
I tre carabinieri della stazione dei carabinieri accusati di calunnia, nell'ambito dell'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, vengono tirati in ballo per le accuse fatte agli agenti della Penitenziaria nel corso del processo davanti alla Corte d'assise che li vedeva imputati. I tre sono accusati di avere «affermato il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 del 2009 in occasione dell'arresto». In particolare Tedesco, Nicolardi e Mandolini «implicitamente accusavano, sapendoli innocenti, tre agenti della penitenziaria, dei delitti di lesioni personali pluriaggravate e abuso di autorità». Gli agenti della Penitenziaria erano accusati per un pestaggio che si «ipotizzava perpetrato - scrive il pm - ai danni di Cucchi nella mattina del 16 ottobre del 2009, nella qualità di agenti preposti alla gestione del servizio delle camere di sicurezza del tribunale adibite alla custodia temporanea degli arrestati in flagranza di
reato in attesa dell'udienza di convalida».
Legale della famiglia: è la verità che emerge
«Siamo emozionati e soddisfatti da questa conclusione che abbiamo atteso per anni» dice Fabio Anselmo, legale di Ferrara che assiste la famiglia sin dal primo momento. «Questa è la verità che emerge: omicidio, calunnia e falsi i reati contestati che danno l'idea di cosa sia successo quella sera a Stefano. Dopo sette anni questa è la verità raggiunta e la famiglia Cucchi vuole ringraziare chi ha fatto queste nuove indagini. Il merito va al procuratore Pignatone e a tutti gli inquirenti della procura di Roma». Cosa è successo, dunque? «Stefano stava bene prima dell'arresto, dopo è morto. Questa la verità che finalmente abbiamo». Naturalmente, si tratta solo di una imputazione. «È vero, ma ora al processo ce la giochiamo tutta, faremo i conti con tutti». In primis, con gli argomenti portati dai difensori dei carabinieri su cui è caduta l’accusa. La procura «ha formulato il capo di imputazione che ritiene sussistente. Noi riteniamo, di contro, che tale contestazione non potrà essere provata nel giudizio in quanto gli elementi di fatto su cui fonda non sono riscontrabili in atti e, tanto meno, nella perizia disposta dal gip con incidente probatorio», replica l'avvocato Eugenio Pini, legale di uno dei carabinieri coinvolti nell’indagine.
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