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Dopo la Consulta si va verso il voto: ma sulla data è subito scontro

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Dopo la Consulta si va verso il voto: ma sulla data è subito scontro

(Ansa)
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Ora che il verdetto della Consulta è noto, lo scontro si sposta sulla data per il ritorno alle urne. «O Mattarellum o voto», è l’incipit lanciato da Matteo Renzi e ripetuto dai principali esponenti del Pd. Anche Beppe Grillo e Matteo Salvini sposano la linea del voto subito mentre da Fi ai centristi ma anche Sel e la minoranza dem manifestano una maggiore prudenza. Ma al di là degli slogan e della sicumera con cui vengono rilanciati in queste ore, al momento la data del ritorno alle urne è ancora un grande punto interrogativo.

Nella nota che ha accompagnato la pronuncia, la Corte costituzionale conclude sottolineando che la legge elettorale è di «immediata applicazione». Ma questo potrebbe non bastare. E del resto lo stesso M5s, con Grillo aveva esordito con «habemus legalicum, non ci sono più scuse» per andare al voto, salvo poi aggiungere che vanno inseriti al Senato i «correttivi» per rendere omogenei _ come esplicitamente chiesto dal Capo dello Stato - i sistemi elettorali di Camera e Senato. È quanto ripetono anche Fi, i centristi di Alfano, Sel e la minoranza del Pd.

Ma questa armonizzazione comporta una scelta politica che non è affatto neutrale. Basti pensare che alla Camera la soglia di sbarramento è del 3% contro l’8% del Senato e che la scelta dei deputati avverrà per una parte rilevante attraverso i capilista bloccati mentre per i senatori valgono le preferenze tenendo da parte poi il fatto che alla Camera è previsto un premio di maggioranza alla lista su base nazionale per chi raggiunge il 40% mentre al Senato il premio è su base regionale e alla coalizione. Non è difficile immaginare che un’eventuale estensione dei capilista bloccati al Senato potrebbe scontrarsi con il muro della minoranza dem e con quanti nei vari partiti (compreso il M5s) temono di non essere rimessi in lista.

Anche la soglia diventa un elemento dirimente, visto che l’8% rappresenta uno scoglio difficilmente superabile dai piccoli partiti. Il Pd prova a sparigliare riproponendo il Mattarellum. «Non serve molto tempo per valutare se c’è una disponibilità politica sul Mattarellum, altrimenti si può votare con i due consultellum che sono leggi elettorali proporzionali omogenee», spiega il capogruppo alla Camera Ettore Rosato. A chi come il pentastellato Di Battista ma anche l’ex premier dem Enrico Letta rivendica la scelta di non aver votato l’Italicum in quanto incostituzionale, Rosato risponde sottolineando che la Corte ha bocciato solo il ballottaggio, previsto solo per la Camera, visto che la legge elettorale dava per superato il bicameralismo.

La linea del partito di Renzi dunque non cambia. Ma un passaggio ulteriore arriverà quando la Consulta depositerà (si dice entro metà febbraio) la motivazione del suo verdetto. In ogni caso «c’è bisogno di leggi elettorali omogenee», conferma il capogruppo al Senato di Fi Paolo Romani che ritrova sulla stessa poziione anche l’ex forzista Raffaele Fitto oggi leader dei Conservatori riformisti. E tra i punti principali da equiparare per Silvio Berlusconi c’è certamente l’estensione dei capilista bloccati anche al Senato.

Ma intervenire sulle regole di Palazzo Madama imporrebbe anche una rivisitazione dei collegi attuali e servirebbe quindi il tempo per ridisegnarli. E più in generale nessun correttivo appare di così rapida attuazione. Almeno non così rapida da garantire il ritorno al voto in primavera o al massimo a giugno dopo il G7 come vorrebbe Renzi che però dalla sua ha una carta importante da giocare: la scelta finale sui capilista sarà la sua e dunque chi ora si mette di traverso rischia di non essere ricandidato.

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