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D’Alema evoca la scissione nel Pd: congresso o liberi tutti

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COMITATI DEL NO

D’Alema evoca la scissione nel Pd: congresso o liberi tutti

Massimo D'Alema
Massimo D'Alema

La battaglia referendaria è archiviata, l’attenzione è ora sul futuro del Pd del Paese. Massimo D’Alema parla dal palco quello dell’Assemblea nazionale dei comitati “Io scelgo No” (che si fanno movimento e cambiano anche nome: “ConSenso. Per un nuovo centrosinistra”) e chiede a ciascuno di fare la propria parte (a partire dalla raccolta fondi) e di tenersi pronti: se l’Italia “precipitasse” verso nuove elezioni, senza prima aver cambiato la legge elettorale e senza che i Democratici siano quindi passati per un congresso, «una scelta di questo tipo renderebbe ciascuno libero. E alcuni di noi che ritengono di avere responsabilità e obblighinon sarebbero neanche liberi di decidere, ma dovrebbero reagire». La parola non è pronunciata ma il concetto è chiaro: la scissione non è più tabù.

Il suo è l’intervento di chiusura: nel mirino dell’ex premier che parla a una platea eterogenea (il governatore della Toscana e candidato alla segreteria Pd Enrico Rossi, la sinistra Dem da Speranza a Gotor, Sinistra Italiana con Scotto, Fratoianni, D’Attorre) una classe dirigente «che sembra aver smarrito il senso della ragione». Rivendica una stagione di “responsabilità”, che i nuovi leader democratici non mostrerebbero invece di avere: il riferimento polemico non è solo a Matteo Renzi («abbiamo lasciato per strada un pezzo fondamentale del nostro mondo e difficilmente lo recuperiamo senza un cambio di rotta. E io aggiungo, affettuosamente, senza un cambio di leadership») ma anche Matteo Orfini (che da Rimini replica «quello che il popolo di sinistra chiede non è la scissione non è la divisione ma è l’unità) e i capigruppo in Parlamento.

Quando difendono l’Italicum sostenendo che la Consulta non lo abbia stravolto sono, afferma strappando una fragorosa risata in sala, da «camice bianco». Il che rappresenta, battute a parte, una faccenda «sconcertante», prosegue, a cui va posto rimedio. E quindi serve un congresso e un Parlamento che lavori per scrivere una nuova legge elettorale. Basta con i capilista e poi preferenze di genere anche al Senato e, semmai, un piccolo premio di maggioranza.

Il centrosinistra, è la ricetta dell’ex segretario del Pds, deve tornare a occuparsi di diseguaglianze. E si deve allargare di nuovo l’orizzonte dei comitati: dovranno parlare non solo a chi ha votato No, ma anche ai «tanti cittadini che hanno votato Sì». L’obiettivo è organizzare queste forze, sviluppare un dibattito, creando comitati dovunque è possibile, raccogliere adesioni e fondi. Anche se, mette le mani avanti, «non avremo un tesseramento nazionale. Altrimenti saremmo tormentati: direbbero che vogliamo fare un partito».