Come nel gioco dell’oca, l’obiettivo di inserire nell’ordinamento italiano una legge sull’educazione finanziaria - unico paese occidentale ancora privo di una norma specifica - rischia di tornare ancora una volta al punto di partenza. Eppure sembrava fatta: il disegno di legge che assorbiva le proposte elaborate da diversi parlamentari era stato trasformato in un emendamento al Dl banche per una rapida approvazione. Su questo era stato trovato l’accordo tra il presidente della Commissione Finanze della Camera Maurizio Bernardo, del Senato Mauro Maria Marino e l’ufficio legislativo del Ministero dell’Economia e della Finanza. Poi lo stop all’emendamento la scorsa settimana per la mancanza della copertura finanziaria: nulla era stato stanziato infatti nell’emendamento per migliorare il livello di conoscenza e competenza degli italiani in materia e in particolare per la formazione dei docenti delle scuole italiane, chiamati a implementare nell’orario scolastico occasioni di alfabetizzazione finanziaria.
L’alfabetizzazione finanziaria, com’è noto, è particolarmente bassa nel BelPaese: penultina tra i paesi Ocse secondo le ultime rilevazioni e 63esima a livello globale, l’Italia non può certo vantare livelli dei preparazione paragonabili con l’alta propensione al risparmio e la tradizionale attenzione per l’accantonamento. Temi come inflazione, diversificazione e tassi di interesse sono padroneggiati in misura sufficiente soltanto dal 37% della popolazione adulta (indagine Ocse, Gallup, Gflec 2015): solo un terzo o poco più degli italiani hanno dimestichezza con le nozioni di base del funzionamento del denaro, contro il 45% della Grecia, il 49% della Spagna e ancor più distanziati dagli altri partner europei, Germania, Regno Unito, Francia, paesi scandinavi, tutti con percentuali superiori al 65%.
A cosa serve l’alfabetizzazione finanziaria
È appena il caso di ricordare che per educazione o alfabetizzazione finanziaria non si intende il destreggiarsi con le tecnicalità delle Borse, quanto piuttosto la capacitò di compiere scelte consapevoli in materia di risparmio, analogamente a quanto accade per l’educazione alimentare, sanitaria o sessuale. Un livello minimo che permetta di distinguere le attività finanziarie dalle passività, aiuti a capire la differenza tra un mutuo a tasso fisso o variabile e permetta di valutare i costi degli strumenti finanziari. Spingendo l’individuo, nei casi più complessi, ad interpellare uno o più esperti per poter far leva sulle competenze altrui per compiere decisioni coerenti per le proprie esigenze.
«Registro con enorme rammarico, dispiacere e disappunto - dice l'on. Maurizio Bernardo, presidente della Commissione Finanze della Camera - che il Governo, mentre si adopera per trovare 20 miliardi per la copertura del decreto “Salva-risparmio” per le banche, non programma di investire neanche un euro per l'educazione finanziaria». Per l’esecutivo il rischio autogol è rilevante. La possibilità che si vada presto a votare per le politiche sta accelerando il varo dei provvedimenti in cantieri, rendendo complesso l’inserimento degli emendamenti.
Lo stesso Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si era espresso a favore del varo del provvedimento come misura necessaria per prevenire le varie forme di “risparmio tradito”, la cattiva consulenza finanziaria (dalla sottoscrizione di obbligazioni subordinate ai casi di conflitto di interessi delle reti commerciali) e alla reazione ansiogena della platea dei risparmiatori di fronte alle notizie sui mercati finanziari.
“«Il Governo, mentre si adopera per trovare 20 miliardi per la copertura del decreto “Salva-risparmio” per le banche, non programma di investire neanche un euro per l'educazione finanziaria»”
on. Maurizio Bernardo
Già in passato, tentativi di varare una norma ad hoc era saltata all’ultimo momento o quasi: la frattura tra Berlusconi e Fini nel 2010 fece uscire dal calendario parlamentare il disegno di legge dell’allora senatrice finiana Maria Ida Germontani, provvedimento che assorbiva una mezza dozzina di altri testi che in maniera bipartizan avevano provato a inserire una legge in materia nell’ordinamento italiano.
@maloconte
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