Se la prima regola del successo è scegliere i collaboratori giusti, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha toppato in pieno. Al di là delle polizze vita, dei piccoli e grandi veleni interni, delle requisitorie ormai quotidiane contro la stampa, nessuno nel Movimento Cinque Stelle può negare l’evidenza. Neanche Raggi stessa, costretta a prendere le distanze prima da Raffaele Marra, dopo averlo difeso strenuamente sino al momento del suo arresto, e poi da Salvatore Romeo, il suo ex caposegreteria.
Ma il fallimento nella scelta dei collaboratori più stretti, compiuta in autonomia e anzi in contrasto con chi le aveva chiesto subito un passo indietro almeno su Marra, si è rivelata anche, a ben vedere, un’àncora di salvezza. Perché non c’è nulla di più facile che liquidare gli errori di Raggi come dovuti a ingenuità e inesperienza, costruendole intorno un cordone di protezione ben più solido del mini-direttorio che fu. Niente di più semplice che chiudere la questione Romeo come una parentesi di cronaca rosa su cui i giornalisti “cattivi” hanno speculato.
Ingenuità e inesperienza, scudo facile per Raggi
Sono proprio i passi falsi della sindaca a permettere adesso a Beppe Grillo e a Davide Casaleggio di tenerla in sella, di conservare il palcoscenico romano in vista del voto nazionale. Rilanciando a più non posso il refrain sempreverde delle “campagne diffamatorie” orchestrate dalla stampa, condito da querele ormai quotidiane. Ma un conto è indignarsi per le speculazioni senza fondamento, un altro è pretendere che non ci si stupisca davanti alla scoperta che un semplice funzionario del comune, premiato ad agosto con il passaggio a capo della segreteria politica della sindaca e con uno stipendio triplicato, avesse scelto a gennaio e a marzo come beneficiaria delle sue assicurazioni in caso di morte proprio Raggi, per «motivi affettivi». Un conto è lamentarsi di un faro mediatico indubbiamente senza precedenti, un altro è scansare le domande scomode o propinare mezze verità.
L’ordine di scuderia: serrare i ranghi
“Serrare i ranghi” è l’ordine di scuderia che arriva da Genova e da Milano: far calare il sipario sui dissapori interni, usare il pugno duro contro i dissidenti, chiudere il coperchio del vaso di Pandora che potrebbe far deflagrare il Movimento proprio durante la scalata al governo nazionale. Il silenziatore nei confronti degli ortodossi è partito da tempo. All’inizio sotterraneo, ora esplicito, con i ripetuti moniti dal blog e quell’avviso che risuona come un’eco: «Non si faranno sconti a nessuno». È per questo che la potente deputata romana Roberta Lombardi affida alla sua pagina Facebook la smentita alle indiscrezioni che la indicavano come la “gola profonda” che avrebbe rivelato ai giornali l’esistenza delle polizze: «Una grande campagna di fango attivata contro di me, tesa a mostrarci divisi mentre invece remiamo tutti nella stessa direzione». «Fake news», le bolla Carlo Sibilia, segnalato anche lui tra gli occulti sabotatori di Raggi. Carla Ruocco tace, concentrandosi sui suoi temi: la finanza e il fisco. Ma le ricuciture, per ora, sono compiute.
Il ruolo blindato di Di Maio
Il messaggio chiave all’interno e all’esterno del M5S è stato lanciato ieri dal vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, che resta per Grillo e Casaleggio il candidato premier in pectore: «Siamo gli unici a poter ambire al 40%». Annunciando querela contro il giornalista dell’Espresso che ha rivelato il caso polizze, Di Maio ha messo le mani avanti: «Da oggi non voglio perdere più tempo a difendermi da accuse fasulle e nei prossimi mesi voglio girare l’Italia per raccontare ai cittadini tutte le cose belle che abbiamo prodotto nelle istituzioni stando all’opposizione e tutto quello che potremo fare una volta al governo. Questo è il momento di svegliarsi. Questo è il momento dell’entusiasmo, dell’orgoglio e della reazione». In concreto: largo al programma che sarà chiuso a breve, via a un nuovo tour per l’Italia «per raccontare le cose belle che abbiamo prodotto nelle istituzioni». Il blog di Grillo comincia subito dal Campidoglio, elencando oggi «i 43 successi più importanti di Virginia Raggi e della sua giunta nei primi 7 mesi di governo». Più chiaro di così.
Le incognite
La strategia dei vertici è però lastricata di ostacoli. Il primo è l’esito dell’indagine della procura di Roma a carico di Raggi: secondo il codice etico del M5S, l’eventuale rinvio a giudizio non prevede alcun obbligo di dimissioni. Soltanto una condanna significherebbe la fine della carriera politica di Raggi e l’epilogo disastroso dell’avventura romana a Cinque Stelle. A complicare il quadro potrebbero inoltre subentrare nuove rivelazioni, soprattutto se Marra deciderà di parlare. Ma non è affatto escluso che si avvarrà della facoltà di non rispondere.
Un altro ostacolo è tutto interno: disegnare un sistema di selezione della squadra di governo che assicuri la tenuta del Movimento. Garantendo l’incoronazione di Di Maio, ma facendola ratificare dalla rete in ossequio al principio della democrazia diretta che non si può tradire, men che mai in presenza di “turbolenze” nella base, costretta negli ultimi tempi a ingoiare un rospo dietro l’altro. Con quali regole portare avanti questa operazione - facendo trionfare i pragmatici ma accontentando anche gli ortodossi - è la materia su cui i vertici si stanno scervellando da dicembre. La metamorfosi da forza anti-sistema a forza di governo si è rivelata molto più ardua del previsto.
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