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Pd, Bersani: la scissione c’è già. «Da Renzi…

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dopo la DIREZIONE

Pd, Bersani: la scissione c’è già. «Da Renzi solo dita negli occhi alla nostra gente»

Non è questione di calendario del congresso. «Quella è una tecnica. Qui il problema è se siamo il Pd o il PdR, il Partito di Renzi. Io da Renzi non mi aspetto nulla, ma chi ha buonsenso ce lo metta. Perché siamo a un bivio molto serio». Il giorno dopo, Pier Luigi Bersani dà forma in Transatlantico al malcontento già in circolazione, a fiumi, nella minoranza dem. E così lo spettro di scissione si materializza come quella «già avvenuta tra la nostra gente. E io mi chiedo come possiamo recuperare quella gente lì». Si sarebbe aspettato un passo in avanti Bersani. Invece solo amarezza. «Dobbiamo chiederci se e come recuperiamo una parte del nostro popolo. Io ieri in direzione ho visto solo dita negli occhi a questa gente. Non può essere».

È all’acme la tensione fra le diverse componenti del partito all’indomani della direzione. «Noi come ogni partito normale ce l'abbiamo un canale per discutere a fondo ed eventualmente correggere la linea politica o no? Di questo stiamo discutendo. Il calendario è una tecnica che può inibire ogni discussione vera. Chi ha buonsenso ce lo metta perché la questione è seria». Ai cronisti alla Camera l’ex segretario dice perciò che serve consapevolezza politica. Non da Renzi («non me lo aspetto dopo averlo sentito ieri») ma da quelli «che stanno attorno a lui me l'aspetto». Quindi Orlando o Franceschini? «Vediamo» è la risposta.

Passa la linea Renzi: congresso subito

«Non ancora deciso se andare in assemblea»
«Penso di sì. Ma non lo so, qui non s'è deciso niente. Stiamo aspettando di capire se c'è una qualche riflessione». Come a non voler sbattere definitivamente la porta, rispondendo a chi chiede se la minoranza andrà all'assemblea del Partito democratico convocata domenica per avviare il congresso. «Bisogna dirci chiaro che cosa siamo noi. Non accetto un partito che lascia un punto interrogativo su
quel che vuole fare». Circola la possibilità di un congresso non ad aprile ma a giugno. «Io non ci cado nel ridicolo», annota secco Pier Luigi Bersani rilanciando la proposta delle assise in autunno. «Voglio capire se diamo un percorso ordinato e diciamo che si vota a scadenza legislatura salvo che arrivi un meteorite da Marte, ovviamente il congresso va fatto in tempi ordinari preparandolo per bene da qui a giugno, ci mettiamo alle spalle la legge elettorale in modo da capire la nostra proposta in quale contesto la mettiamo, facciamo le amministrative e prepariamo il congresso. Come? Ha detto bene Orlando, per esempio con una discussione preliminare di quadro e insieme discutendo con i mondi esterni perché il Pd non può essere autosufficiente», sottolinea l’ex ministro.

«Non siamo un gregge, così non si va avanti»
«Il collettivo non può essere un gregge. Ieri mi aspettavo un esito ben diverso, di fronte a uno sforzo difficile anche mio, nostro, mi sarei aspettato di sentir dire: ok, discutiamo. Non penso si possa andare avanti così, vediamo se qualcuno può prendere in mano la situazione». Qualcuno fa notare che la maggioranza Pd dice che ormai si discute da mesi. «Ma dove si discute?». Per l'ex segretario se anche Gentiloni chiedesse un intervento chiarificatore sulla durata della legislatura «potrebbe aiutare» e conclude di voler bene al Pd, finché è il Pd, «se diventa PdR non gli voglio più bene».

«Capilista bloccati? Diamo i numeri»
Oltre a riserve più politiche Bersani nutre dubbi sulla praticabilità di elezioni con il sistema previsto dall’attuale legge elettorale. «La gente va a votare quando pensa di poter decidere, altrimenti non ci va. Ma non è che non va e sta tranquilla, non ci va e ti fa un mazzo così... Stiamo a parlare di capilista bloccati? Noi diamo i numeri...». Questo perché il «fondamento della governabilità non in Botswana ma in un Paese europeo è avere un minimo di connessione» col popolo.

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