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politica 2.0

Tutti i rischi di una scissione e il «jolly» della candidatura di Orlando

La scissione è già avvenuta, diceva Bersani. Lui parlava dello strappo con un pezzo dell’elettorato che la minoranza vorrebbe intercettare uscendo dal Pd. Ma davvero quel mondo vuole farsi rappresentare dagli “scissionisti”? Da una forza che non nasce da una novità politica ma da una lacerazione?

Sono tanti i “rovelli” di chi in queste ore sta pensando a una scissione. Ed è per questa ragione che anche i toni molto duri di Pierluigi Bersani - ieri - lasciavano ancora spazio a un margine di trattativa. Perché chiudere la porta e lasciarsi dietro un partito che si è contribuito a fondare, di cui si è stati segretario e candidato premier, comporta ragioni politiche profonde e immediatamente comprensibili a un pezzo di mondo di sinistra “educato” al valore dell’unità della ditta. Bene, queste ragioni profonde ci potevano essere alcuni mesi fa quando la sinistra interna decise per il “no” al referendum ma oggi? In quel momento si poteva rappresentare una divergenza radicale su un modo di intendere l’assetto istituzionale del Paese ma adesso la discussione è sulla data del congresso, sulle liste per le ricandidature ed è difficile far nascere - da queste basi - una forza politica che si propone di parlare un linguaggio nuovo e di sinistra.

Ecco, il primo rovello è certamente quello che riguarda la reale capacità di rappresentare un pezzo di elettorato con un’operazione che è più di ceto politico che non di “popolo”. Davvero quegli elettori che non intendono più scegliere il Pd voterebbero una forza che non rappresenta una novità ma una scissione? L’ostacolo è qui, nella difficoltà di dare sangue vivo a un altro partito di sinistra. Perché Bersani e D’Alema si affiancherebbero a un altro esperimento sempre nell’area progressista che sta facendo Giuliano Pisapia. L’ex sindaco - che ieri ha fatto una nuova iniziativa a Milano - è arrivato prima di loro e ha detto chiaramente che la sua “missione” è quella di unire un mondo di centro-sinistra cercando un’alleanza con Renzi. Bene, il partito degli scissionisti può ignorare il progetto di Pisapia? E una volta consumato lo strappo tornerebbe poi ad allearsi con il Pd? Sarebbe piuttosto incomprensibile.

Sembra insomma che il sentiero politico sia piuttosto stretto a maggior ragione perché la scommessa scissionista nascerebbe senza ancora sapere quale sistema elettorale ci sarà. Se cioè rimarrà un proporzionale o se verrà introdotto un qualche elemento maggioritario che certo non aiuterebbe il nuovo partito. Anche per queste ragioni, in queste ore, si sta ancora cercando uno spazio negoziale per restare nel Pd. E la vera “carta” è rappresentata dal ministro Orlando che sta decidendo se essere lui il candidato alternativo a Renzi. Lui sarebbe la soluzione per i bersaniani, l’occasione per confluire in un’area più ampia, ex diessina, senza abbandonare il Pd ma contribuendo a dargli una versione più articolata rispetto alla divisione di oggi tra renziani e una ristretta minoranza. Tra l’altro Andrea Orlando è nel Governo, dunque, potrebbe anche ben rappresentare le ragioni - esplicitate da Bersani - di un sostegno a Gentiloni portando il tema del voto nel 2018 nella battaglia congressuale. Perché Renzi non dispera di fare il congresso in fretta e andare al voto a giugno con le amministrative. Sa bene che è l'unica finestra utile mentre il 24 settembre – altra data in calendario – rappresenta troppi rischi tra una campagna elettorale estiva e l’esigenza di presentare la legge di stabilità a ottobre.

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