L’investimento privato per lo stadio della Roma cala da 1,7 miliardi a quasi un miliardo. Le cubature si dimezzano, da circa un milione di metri cubi a 500mila metri cubi. La capienza passa da 60mila a 52-55mila posti per ridurre la pressione sul trasporto pubblico e privato. Il valore delle opere pubbliche connesse, a carico dei proponenti, scende da 440 milioni a circa 330 milioni. Sono questi i numeri cardine del progetto di Tor di Valle, alle ultime limature dopo l’accordo raggiunto venerdì scorso tra la sindaca Virginia Raggi, l’As Roma e il costruttore Luca Parnasi.
È il nodo opere a tenere banco, con i critici che paventano la cancellazione di infrastrutture determinanti per la fruibilità dell’arena. E con la regione Lazio alla finestra. Perché nell’amministrazione guidata dal dem Nicola Zingaretti serpeggia la convinzione che, in presenza di cambiamenti al piano delle opere infrastrutturali che minaccino la piena accessibilità dei tifosi allo stadio, vada chiusa l’attuale conferenza dei servizi, che scade il 3 marzo, e ne vada aperta un’altra. Un’eventualità che significherebbe restare inchiodati per mesi e mesi. Quel che è certo è che in queste ore i proponenti chiederanno una nuova proroga. Dalla regione si profila la disponibilità a concedere altri 30 giorni, ma soltanto per vedere le carte. E studiarle. Sono in corso contatti tra le avvocature per capire il da farsi. D’altronde, è una doppia prima volta, quella che si consuma intorno a Tor di Valle: la prima applicazione sia della legge sugli stadi sia della riforma Madia sulla conferenza dei servizi facilitata.
Ieri è stata Raggi, dopo una telefonata entusiasta con il presidente giallorosso James Pallotta («We love it»), a rassicurare gli scettici con un post su Facebook: «Il nuovo progetto prevede le opportune infrastrutture per permettere ai tifosi e ai cittadini di accedere all’area dello stadio e di muoversi senza problemi». Raggi chiarisce che dalle simulazioni degli uffici capitolini sul traffico della zona «un ponte sul Tevere snellirà il flusso di automobili attuale e supporterà quello previsto in occasione delle partite e degli eventi». Su quale sia, è aperta la discussione: la riduzione delle cubature per via dell’addio alle tre torri di Libeskind determina un calo dell’intervento “compensativo” dei privati in termini di finanziamento delle opere pubbliche. Oltre al taglio di dieci milioni degli oneri di costruzione, resta fuori dall’investimento il ponte carrabile sul Tevere con lo svincolo per la Roma-Fiumicino, che valeva 94 milioni. Le ipotesi al vaglio sono due: o proseguire con il progetto del Ponte dei congressi, già finanziato dal Cipe per 145 milioni cui si aggiungono 100 milioni di fondi comunali, a 800 metri da dove doveva sorgere l’altro, oppure “stornare” 70 milioni sul ponte dello stadio. Si risparmierebbe, fanno notare dal Campidoglio. Le altre opere che saltano sono due pontili e un sottopasso. Resta invece il ponte pedonale verso la Stazione Magliana, ma non più connesso al meccanismo di compensazione. Rimane il parco fluviale. E resta il potenziamento della Via del Mare, con l’unificazione fino a Nodo Marconi usando il contributo costo di costruzione. Altre polemiche hanno riguardato il rafforzamento della ferrovia Roma-Lido. Si farà, promette Raggi, e «permetterà di raggiungere l’area in treno».
Mentre gli attivisti delusi si sfogano e alcuni comitati di quartiere parlano di progetto «snaturato», in Campidoglio si lavora alla delibera di novazione di quella targata Marino del 2014, che entro un mese e mezzo si vorrebbe approvata in assemblea. Dovrà dimostrare che nulla è cambiato sotto il profilo della «pubblica utilità». E vincere le resistenze dei consiglieri M5S riottosi. Che la partita adesso sia anche politica è evidente dalle parole del presidente dell’assemblea, Marcello De Vito, vicino all’ortodossa Roberta Lombardi: «Il comune ha fatto il suo, ora ci aspettiamo che la regione faccia altrettanto e non ostacoli, per mere ragioni di carattere politico, la costruzione dello stadio. Altrimenti Zingaretti e il Pd si prenderanno la responsabilità di aver bloccato il progetto».
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