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Il «no» di Grillo e i limiti dei voti online se il Movimento si…

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L'Analisi|politica 2.0

Il «no» di Grillo e i limiti dei voti online se il Movimento si candida a governare

Era scontato che tutti i partiti si sarebbero buttati sulla vicenda di Genova e delle comunarie annullate da Grillo. Ed erano scontate anche le accuse al guru dei 5 Stelle che sono state uguali da destra a sinistra. Tutti a paragonarlo al dittatore coreano o a un monarca che azzera le elezioni quando a vincere non è il suo candidato svelando la grande illusione di una democrazia diretta, dei voti online e della rete. Cosa è successo? Che Grillo ha sfiduciato l’aspirante sindaco Marika Cassimatis, vincitrice delle consultazioni perché vicina ai “dissidenti” o come ha scritto perché i «componenti della sua lista hanno denigrato e danneggiato la nostra immagine». E conclude: «Se qualcuno non capirà, vi chiedo di fidarvi di me». Dunque le ha tolto il simbolo, ha azzerato le candidature e indetto nuove elezioni.

Se tutti ieri si sono chiesti se questa sia la fine del metodo grillino, di quella democrazia partecipativa sulla quale è cresciuto il Movimento - che oggi è il primo partito nei sondaggi - ci si dovrebbe anche chiedere cos’è che ha portato al caso Genova. Innanzitutto c’è il precedente di Roma che ha lasciato il segno e una ferita ancora aperta. Il primo fattore che rischiava di riprodursi nel capoluogo ligure erano le faide interne, le spaccature tra ortodossi e dissidenti che la Cassimatis è accusata di rappresentare. Il pericolo, insomma, era quello di ritrovarsi a gestire lotte intestine come è accaduto nella Capitale tra la Raggi e la Lombardi con tutto quello che ne è seguito di veleni, diffusione di mail e messaggi e di viaggi di Grillo per tentare di puntellare il sindaco.

Ma l’altra lezione di Roma è stata quella di vedersi sfuggire la gestione amministrativa della città finita nelle mani di chi con il Movimento non aveva niente a che fare e che ha trascinato la giunta in arresti e inchieste giudiziarie, Raggi inclusa. Insomma, il tema è quello del controllo politico - e poi amministrativo - che parte proprio da quei clic in rete, da quel modello di democrazia diretta che non dà garanzie sull'esito e che espone al rischio di infiltrazioni. L'impasse di oggi sta proprio nel metodo di selezione della classe dirigente che si lascia alla base grillina salvo poi smentirla ed essere costretti ad applicare il criterio opposto, ossia l’adesione fideistica alla decisione del leader. Con “quel fidatevi di me” Grillo ha mostrato il fallimento di un metodo che non regge a tutte le prove soprattutto da quando il Movimento è diventata una forza che governa.

Un conto, infatti, è strutturarsi da “opposizione” e chiamare il popolo a fare battaglie contro i governi per il cambiamento, altra storia è gestire il cambiamento dal posto di comando. È da lì che serve un di più di competenza, rigore, adesione a quei principi politici di cui parlava ieri Grillo mentre stracciava il risultato delle comunarie. Le qualità che servono per fare opposizione sono spesso del tutto diverse da quelle che servono per governare. E il metodo dei clic online e della partecipazione diretta non è sufficiente a dare quelle garanzie che il leader 5 Stelle cerca. E ieri è stato costretto all’unica via d’uscita possibile: mettere la sua parola contro quella del suo popolo visto che non esiste un altro livello tra il capo e la base. Un “vuoto” che comincia a pesare.

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