C’è davvero da temere l’impatto di Industria 4.0 sul lavoro? La Commissione europea, in occasione delle manifestazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma, fornirà la sua (rassicurante) risposta, basata però su una imprescindibile condizione: creare nuove competenze professionali e aggiornare quelle esistenti. L’”appello” europeo sarà al centro del Digital Day in programma a Roma domani, con la partecipazione dei commissari Andrus Ansip (vicepresidente e responsabile per il Mercato Unico digitale) e Günther Oettinger (Bilancio e risorse umane) e dei ministri Carlo Calenda (Sviluppo economico), Giuliano Poletti (Lavoro) e Valeria Fedeli (Istruzione).
Secondo i dati Ue, solo il 3,6% della forza lavoro in Europa ha una specializzazione tecnologica e soltanto il 56% degli europei ha competenze digitali di base. Non basta: entro il 2020 nel settore dell’Ict ci saranno da 500mila a 700mila posti di lavoro disponibili e già oggi in sette dei Paesi membri mancano al mercato 150mila professionisti del settore. L’app economy sta facendo decollare il lavoro autonomo e nelle formulazioni che toccano più da vicino l’industria impone un profondo “re-skilling” delle mansioni.
Di fronte a questo scenario la Commissione spera che i governi, che hanno competenza diretta sull’istruzione, cambino passo. Si studia un Progetto pilota sui tirocini di neolaureati in aziende del settore digitale o che pur operando in settori tradizionali dispongono di un dipartimento It (si pensi all’automotive). A differenza di iniziative del passato, la Commissione vorrebbe favorire l’«internship» per giovani provenienti da tutte le facoltà, non solo da corsi di studio in ingegneria o informatica. Contemporaneamente domani arriverà agli Stati membri un “invito” affinché utilizzino in modo intensivo le risorse della Youth Employment Initiative (inclusi nel Fondo sociale europeo) per finanziare corsi di formazione specifici per le nuove professioni digitali, anche brevi. «Puntare a corsi modulari, anche di sei mesi, per competenze molto specialistiche - osservano gli sherpa della Direzione europea Connect - può essere più efficace che aumentare tout court il numero di laureati nelle materie scientifiche».
Sviluppatori di app, analisti di big data,analisti di social media, web designer, esperti di cybersicurezza: sono queste le competenze nelle quali gli Stati membri risultano maggiormente carenti, manifestando una debolezza cromosomica che rischia di inficiare in partenza la crescita di Industria 4.0. L’automazione che sta già invadendo le fabbriche - è la tesi esposta dal commissario Ansip in un incontro avuto con i manager del settore manifatturiero in vista del Digital Day - rappresenta sicuramente un rischio per alcune mansioni e per molti posti di lavoro, ma il saldo alla lunga diventerà positivo se le aziende assumeranno competenze specialistiche, capaci di collaborare con le macchine e i robot che andranno a sostituire posti meno qualificati.
Dal 2015, spiegano dalla Dg connect, in Europa sono stati creati 1,3 milioni di posti nel settore Ict, per lo più ben pagati, con punte come la Svezia dove il 52% delle nuove posizioni è stato attivato da startup di tipo hi-tech. Anche se l’impressione è che questi numeri non basteranno ad archiviare i timori, perché il tema resta controverso e non a caso la Confederazione europea dei sindacati guarda con attenzione alle proposte che più avanti proprio la Ue potrebbe formulare sulla modifica dei contratti di lavoro legati all’economia digitale.
Domani il lavoro al tempo di Industria 4.0 condividerà la scena del Digital Day con altre tre sessioni tematiche. Si discuterà di come recuperare il ritardo europeo nello sviluppo dei supercalcolatori, della creazione di “EuI4.0” piattaforma di coordinamento dei 12 piani nazionali per Industria 4.0 (ci sono da coordinare 50 miliardi di investimenti tra fondi Ue, nazionali e privati) e delle auto a guida autonoma (si va verso una lettera d’intenti degli Stati membri per definire i grandi assi stradali europei sui quali avviare le sperimentazioni).
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