In attesa di conoscere il parere della Commissione europea sull’utilizzo che il governo italiano ha fatto della clausola di flessibilità per gli investimenti nel 2016 (2,5 decimi di Pil, poco più di 4 miliardi) dalla relazione tecnica che accompagna la «manovrina» si apprende che nei tagli alle spese dei ministeri per l’anno in corso ci sono altri 140 milioni di investimenti che spariscono. Come e dove lo deciderà il ministero dell’Economia con il decreto attuativo cui si fa rimando e che dovrà essere adottato entro un mese. Ma è chiaro che nella correzione alla «deviazione significativa» dal percorso verso il pareggio di bilancio non mancheranno altri interventi in conto capitale.
Il giudizio di Bruxelles tra venti giorni
Come si ricorderà i conti del 2016 segnano un calo degli investimenti pubblici(-4,5% rispetto all’anno precedente), mentre la principale condizione necessaria per il riconoscimento di un pieno utilizzo della clausola di flessibilità ottenuta era che gli investimenti, nel loro insieme, risultassero in crescita. In secondo luogo, i guardiano dei Trattati (e del fiscal compact) verificheranno che gli investimenti finanziati con risorse nazionali non siano stati sostituiti con le spese in cofinanziamento europee. La valutazione della Commissione è attesa entro una ventina di giorni e potrebbe avere effetti importanti.
La giustificazione del Governo
Nel Def il Governo ha affrontato la questione spiegando in un focus che nel computo sulla spesa per investimenti tra il 2015 e il 2016 occorre considerare non la variazione degli investimenti pubblici totali ma quella al netto delle dismissioni immobiliari, cui vanno aggiunti i contributi agli investimenti delle imprese e da cui va detratta la spesa finanziata con risorse europee (una spesa soggetta a significative fluttuazioni secondo le fasi pluriennali del ciclo di programmazione e attuazione dei programmi cofinanziati, dunque non derivante da una scelta discrezionale di palazzo Chigi e del ministero dell’Economia). Questo aggregato, in effetti, mostra un lieve incremento rispetto ai valori dell’anno precedente (48,5 miliardi nel 2016 rispetto ai 48,1 miliardi del 2015). Ma anche seguendo questa chiave di lettura la spesa in investimenti cofinanziati dalla Ue è stata nel 2016 pari a 3,5 miliardi (ovvero lo 0,2% del PIL) cioè inferiore allo 0,25% del PIL richiesto (circa 4,2 miliardi).
Che cosa succede se il giudizio Ue fosse negativo
La verifica della Commissione sul rispetto degli impegni presi dall’Italia arriverà con le nuove previsioni di primavera e, in caso di giudizio negativo (Bruxelles stabilisce che l’Italia non ha utilizzato tutto lo 0,25% concesso nel 2016), potrebbe scattare una procedura di infrazione per debito eccessivo. Naturalmente per conoscere gli impegni del Governo sulla spesa per investimenti per il prossimo triennio bisognerà aspettare la legge di Bilancio, l’ultima della legislatura. Ma già sappiamo che il sentiero, come ha ammesso lo stesso ministro, Pier Carlo Padoan, sarà molto stretto. A legislazione vigente sia la spesa in investimenti fissi lordi (35 miliardi nel 2016; 2,1% del Pil) sia quella per trasferimenti in consti capitale (21,6 miliardi; 1,3% del Pil) hanno un andamento piatto fino al 2020. Naturalmente le curve potrebbero tornare a crescere se la trattativa sul fiscal compact si rivelasse favorevole all’Italia. Ma questa è un’altra storia ed è ancora presto immaginare come potrebbe andare a finire.
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