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Boom di export delle armi italiane grazie alle monarchie del Golfo

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Relazione al Parlamento

Boom di export delle armi italiane grazie alle monarchie del Golfo

Di dare l'addio alle armi non si parla neppure. Anzi è in atto un vero e proprio boom sia all'estero che in Italia. L'anno scorso, dice il rapporto annuale del Sipri di Stoccolma, l'export di armamenti è cresciuto in media più che negli ultimi cinque anni, salendo ai livelli più alti dalla fine del confronto tra la Nato e il Patto di Varsavia.

La maxi-commessa al Kuwait
La conferma di questa tendenza viene anche dalla relazione annuale al Parlamento italiana elaborata sui dati forniti dal ministero degli Esteri e della Cooperazione: le esportazioni italiane di armamenti nel 2016 hanno raggiunto 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell'85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015.
Un'impennata nel 50% del valore delle esportazioni dovuta dalla fornitura di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait che sale al primo posto come mercato di sbocco per l'Italia. Seguono Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Arabia Saudita (427,5 milioni), Usa, Qatar, Norvegia e Turchia (133,4 milioni). Oltre ad aerei ed elicotteri (che pesano per 8,8 miliardi di euro), la categoria di armamenti più venduta dall'Italia è quella di “bombe, siluri razzi, missili e accessori”.

L’exploit di Rheinmetall
Tra le aziende esportatrici è da rilevare l'exploit assoluto della Rheinmetall che passa dal 19esimo posto in classifica (circa 52 milioni di euro nel 2015) al terzo assoluto nel 2016, dopo Leonardo e GE AVIO, con un totale di circa 500 milioni di export. Dati che non sorprendono visto che si tratta della società finita nell'occhio del ciclone per la produzione in Sardegna delle bombe utilizzate poi dall'Arabia Saudita per i bombardamenti in Yemen contro i ribelli Houthi sciiti alleati dell'Iran.

LE ARMI ITALIANE NEL MONDO
I principali mercati dell'export delle armi italiane

Osservando i valori delle esportazioni per aree geografiche, soprattutto grazie alle vendite di 7,308 miliardi di Eurofigter al Kuwait, si nota che l'area Africa del Nord-Medio Oriente è la prima regione per destinazione dell'export seguita dai Paesi Ue e Nato con 5 miliardi.

L'Italia naturalmente è dietro ai grandi esportatori. In primo luogo gli Stati Uniti e la Russia che, secondo i dati Sipri, insieme hanno il 56% per cento della quota di mercato. Segue al terzo posto la Cina, con un balzo tecnologico e industriale spettacolare, e con il 6,2% della quota mondiale. Poi la Francia e la Gran Bretagna al 6% e poco sotto la Germania (5,6%) mercato.

Monarchie arabe in testa all’import
Ma il dato politico più significativo è un altro. I maggiori importatori di armi sono le monarchie arabe come Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Kuwait. Il regno wahabita è il secondo importatore mondiale con un aumento di ordini del 212% negli ultimi anni rispetto al periodo 2007-2011. Il piccolo ma ricco Qatar ha addirittura aumentato le ordinazioni di armi del 245 per cento.

Ritorno al vecchio ordine
Si capisce quindi molto bene anche la politica americana nella regione mediorientale di sostegno al fronte musulmano sunnita. Una costante degli Stati Uniti da 70 anni che è sembrata vacillare con le dichiarazioni di Trump. Il nuovo presidente aveva condannato prima la guerra in Iraq del 2003 voluta da Bush jr. definendola “la peggiore nella storia americana” e le ingerenze volute dall'amministrazione di Obama nella crisi siriana. Tutti fattori che, secondo il miliardario newyorkese, avevano lasciato un pericoloso “vuoto di potere” nel mondo arabo all'origine delle fortune dei gruppi jihadisti de l'Isis terroristici radicali ed intransigenti. Aveva persino propugnato una sorta di nuovo isolazionismo americano in politica estera profilando un'alleanza anti-terrorismo con Mosca e Assad, ormai smentita dai fatti.

Si è tornati al vecchio ordine e Trump ha appena dato al Pentagono l'autorità per determinare il numero di truppe necessarie in Iraq e in Siria nella lotta all'Isis. Saranno dunque i generali, il segretario alla Difesa, James Mattis e MacMaster alla Sicurezza nazionale, a decidere cosa fare in Medio Oriente, anche in base agli interessi economici e militari americani: secondo una vecchia definizione di Frank Zappa “la politica in Usa è la sezione intrattenimento dell'apparato militare-industriale”.

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