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Primarie, per il vincitore l’asticella di 1,9 milioni di voti

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L’APPUNTAMENTO DI DOMENICA

Primarie, per il vincitore l’asticella di 1,9 milioni di voti

Non saranno le centinaia di migliaia di voti in più rispetto a Orlando e ad Emiliano a incoronare Matteo Renzi il vincitore delle primarie Pd domenica sera. È ormai chiaro che Renzi sarà considerato un segretario davvero vincente solo se trascinerà ai gazebo un numero sufficientemente alto di elettori. E solo se riuscirà a contenere la perdita progressiva di appeal del partito degli ultimi dieci anni.

Il crollo di votanti
Una cosa è certa: il numero di partecipanti alle primarie del partito democratico è andato sempre più contraendosi passando (si veda il grafico) dai 3.554.169 del 14 ottobre 2007 ai 3.102.709 del 25 ottobre 2009 fino ai 2.814.881 dell’8 dicembre 2013. Quanti si recheranno alle urne dem il 30 aprile? Nessuno si aspetta più di 2 milioni di votanti, con un ulteriore passo indietro rispetto a quattro anni fa. Ma ieri Renzi, durante il confronto tv su Sky, ha abbassato ancora l’asticella. «Tutto ciò che ha la cifra di un milione davanti va bene» ha detto, mostrandosi quanto meno pessimista su quella che ha spesso definito «una grande festa di democrazia».

Quota 1 milione
Se andasse a votare solo un milione di persone, la vittoria di Renzi (perché nessuno mette in discussione che lui prenderà più voti degli altri due competitor) verrà considerata una mezza sconfitta. Dalla nascita del partito democratico (ma potremmo dire già dal centrosinistra che nel 2005 incoronò con le primarie Romano Prodi candidato premier) il voto di militanti e simpatizzanti è stato sempre abbastanza prevedibile e il vincitore matematicamente certo già dalla vigilia. Ciò che è cambiato con gli anni - e in modo abbastanza netto - è stato il volume della partecipazione. Ecco perché domenica al vincitore sarà richiesto non solo un ampio margine rispetto ai due contendenti ma anche un’affluenza consistente. Volendo tenere come termine di paragone i 2,8 milioni del 2013, 1 milione di votanti rappresenterebbero meno della metà di quattro anni fa. Un segnale inequivocabile di disaffezione che peserebbe come un macigno sul vincitore. E su questo terreno non sembra neanche che i due competitor siano così disponibili a fare sconti all’ex segretario cui, molto probabilmente, sarà addossata la colpa dell’eventuale calo di affluenza. Al contrario, se la partecipazione si attestasse sui livelli 2013 o addirittura li superasse, questo dato andrebbe ad irrobustire la vittoria renziana e renderebbe particolarmente forte la sua leadership nel partito.

La lente sul voto
Solo in un secondo momento l’attenzione sarà concentrata sulle percentuali di voto ottenute dai tre candidati e soprattutto sullo scarto di voti tra il primo e il secondo classificato. Il risultato ottenuto da Renzi non potrà poi sfuggire al confronto con i suoi predecessori e persino con quello ottenuto da lui stesso nel 2013. Riuscirà a superare il gradimento del 67,5% di elettori dell’ormai famoso “8 dicembre”, un risultato che andò ben oltre il 53,2% di Pierluigi Bersani nel 2009 ma che rimase sotto la punta di diamante di Walter Veltroni che nel 2007 convinse quasi il 76% dei votanti? Di più: riuscirà l’ex segretario a sfiorare gli 1,9 milioni di consensi ottenuti da lui stesso alle scorse primarie? Ecco dove si annida il vero pericolo di domenica e dei giorni successivi.

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