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Portaborse, mancano cifre ufficiali su contratti e stipendi

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collaboratori parlamentari

Portaborse, mancano cifre ufficiali su contratti e stipendi

Svolgono lavori di segreteria politica o ufficio stampa; gestiscono siti e social media; organizzano convegni; contribuiscono alla scrittura di emendamenti o interrogazioni parlamentari; predispongono bozze dei discorsi in aula. I collaboratori di deputati e senatori, i cosiddetti «portaborse», svolgono un ruolo fondamentale nelle dinamiche parlamentari, ma sono molto poche le informazioni che le istituzioni fanno circolare su di loro. A partire dai numeri.

Non esistono ad esempio cifre ufficiali sul loro numero complessivo, sui tipi di contratti usati e sugli stipendi medi. L’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) ha lanciato un appello ai questori di Camera e Senato per conoscere questi dati. «L’ultima richiesta formale in tal senso risale al 16 febbraio scorso - spiega Valentina Tonti, presidente dell’Aicp - ma non abbiamo avuto risposta, malgrado un ordine del giorno impegni Montecitorio a fornire questi dati, dal numero di contratti, alla loro tipologia, all’importo degli emolumenti».

Sul punto interviene il questore Stefano Dambruso (Civici Innovatori). «Entro la fine di questo mese - assicura - convocheremo un collegio dei questori per evadere la pratica».

Oltre all’indennità (circa 5.000 euro) e alla diaria (circa 3.500 euro), ogni parlamentare riceve un rimborso spese per l’esercizio del proprio mandato. Questo rimborso, che ammonta a 3.690 euro alla Camera e circa 4.000 euro al Senato, serve a sostenere le spese per le attività istituzionali. Metà è sottoposta a rendicontazione quadrimestrale, l’altra metà è erogata forfettariamente. Tra le spese da certificare rientra anche quella per il proprio collaboratore. In pratica ogni parlamentare (che ha l’obbligo di depositare presso gli uffici competenti il contratto del proprio assistente) ha un budget individuale a disposizione che può spendere per assumere una sua persona di fiducia. Tipologia e dettagli del rapporto lavorativo sono lasciati però alla discrezionalità del politico.

“Entro la fine di questo mese convocheremo un collegio dei questori per evadere la pratica collaboratori parlamentari”

Stefano Dambruso (Civici Innovatori), questore della Camera 

«Quasi tutti i parlamentari hanno un loro assistente - spiega Tonti - e da quello che sappiamo la maggior parte dei contratti erano co.co.pro, rimpiazzati da co.co.co dopo il Jobs act. Contratti “soft” senza Tfr, per un importo netto che di solito si aggira tra i 100o e i 1.300 euro netti al mese. E le prime risultanze di un nostro sondaggio interno svolto per sopperire alla mancanza di dati ufficiali ci dice che spesso i contratti di collaborazione non vengono trasformati in contratti a tempo determinato nonostante il tipo di lavoro abbia le caratteristiche del contratto di tipo subordinato».

Emblematica a tal proposito è la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma che lo scorso aprile ha visto riconosciute in primo grado le ragioni di Lorenzo Andraghetti, ex collaboratore parlamentare del deputato M5s Paolo Bernini. La sentenza non solo ha stabilito «l’inefficacia» del licenziamento «intimatogli senza la contestuale indicazione dei motivi che lo hanno determinato» (condannando il parlamentare al risarcimento dei danni, pari agli stipendi maturati dal licenziamento fino alla fine della corrente legislatura, ndr), ma ha anche rigettato la tesi di Bernini che sosteneva la natura autonoma e non subordinata del contratto (con una retribuzione pari a 2.333 euro lordi). Una conferenza stampa sulla regolamentazione professionale degli assistenti parlamentari, organizzata dall’ex M5s Cristian Iannuzzi, si è tenuta oggi alla Camera.

L’associazione italiana dei collaboratori parlamentari denuncia anche una mancanza di trasparenza e di adeguata regolamentazione della loro figura. Il budget a disposizione dei parlamentari per i collaboratori oggi include altre voci riconducibili soprattutto alla attività politica sul territorio. «Il sistema attuale è confuso, servirebbe una voce di bilancio separata per i collaboratori, gestita direttamente dal Parlamento - prosegue Tonti - in modo che i soldi non passino dalle mani del parlamentare. Tutto dovrebbe essere trasparente, con pubblicazione online per ogni parlamentare anche dei nomi e dei curricula dei collaboratori, che nella maggior parte dei casi sono persone altamente qualificate.

L’Aicp invita a guardare alle istituzioni europee come modello di riferimento. Nel 2005 il parlamento europeo ha adottato lo “Statuto dei deputati del parlamento europeo” in base al quale i parlamentari scelgono da chi essere assistiti, ma il contratto intercorre direttamente con il parlamento, che ha creato un apposito fondo e stabilisce anche i criteri e le modalità del rapporto lavorativo. «Adeguarsi al Parlamento europeo - conclude la presidente dell’Aicp - significherebbe porre fine al Far West di modelli contrattuali che consente loro di fare e disfare le regole per chi lavora per loro».

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