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I robot ci porteranno via il lavoro? «Paure lecite ma non fondate»

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I robot ci porteranno via il lavoro? «Paure lecite ma non fondate»

Robot costruito da uno studente del Mit (Reuters)
Robot costruito da uno studente del Mit (Reuters)

La domanda di robot industriali in Italia, secondo mercato europeo del settore, nel primo trimestre del 2017 è aumentata del 13% facendo prevedere una crescita, nel solo 2017, di quasi 3 miliardi di euro, che spingerebbe il totale a 24 miliardi. Merito, anche, di Industria 4.0, il piano varato dal governo che prevede bonus sugli investimenti in innovazione. Il rovescio della medaglia è che questi numeri potrebbero dare argomenti a chi teme che la rivoluzione dei robot possa mandare in crisi, ancora una volta, il nostro già asfittico mercato del lavoro, facendo esplodere la disoccupazione di massa.

Con Francesco Bruno, blogger di Econopoly, diamo una possibile risposta in questo video di Econotube, web tv del blog del Sole 24 Ore.

Chi ha paura dei robot?

I robot sono fra noi e sempre più lo saranno. Inutile illudersi di fermarli, magari tassandoli. L'aumento di macchine in Europa e Usa è esploso a partire dagli anni 90, ha visto un rallentamento dal 2008, sta di nuovo accelerando.

Le paure sono lecite ma probabilmente non fondate. In uno studio pubblicato recentemente da Daron Acemoglu, del Mit, e Pascual Restrepo, della Boston University, si sostiene che anche nello scenario estremo di quadruplicazione dei robot industriali, entro il 2025, negli Stati Uniti, si perderebbero fra 360mila e 670mila posti di lavoro. Non moltissimi se si pensa che a causa del commercio con la Cina ne sono andati in fumo 2 milioni.

D'altra parte la robotizzazione finora non ha creato moltissimi problemi in Germania, primo mercato europeo del settore, dove il tasso di occupazione è all'80% e la disoccupazione al 4%.

È ragionevole prevedere che soprattutto in alcuni ambiti si perderanno posti, liberandone per ruoli a maggiore valore aggiunto. Meno routine, quindi, più creatività, il che non sarebbe un male. Il gap si potrà e dovrà colmare con programmi adeguati di formazione continua.

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