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Toninelli, dall’Arma alla Camera sognando il ministero delle Riforme

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m5s / il ritratto

Toninelli, dall’Arma alla Camera sognando il ministero delle Riforme

È l’uomo chiave dei Cinque Stelle in commissione Affari costituzionali di Montecitorio, il deputato chiamato a districarsi nei complessi meandri dei sistemi elettorali. Fedelissimo di Luigi Di Maio, sempre perfettamente allineato ai dettami di Beppe Grillo e Davide Casaleggio, Danilo Toninelli è il più ortodosso tra i cosiddetti “pragmatici”. In nome dell’unità del Movimento, da tutelare a qualsiasi costo, non ha mai proferito una parola critica nei confronti dei vertici. Anzi. Nei momenti di maggiore difficoltà è stato chiamato a spendersi, come davanti alle peripezie della giunta romana di Virginia Raggi: quando nessuno all’interno del M5S osava esporsi in sua difesa, arrivava Toninelli, puntuale, forte dell’autorevolezza conquistata sul campo e riconosciuta anche dai rivali politici. «Nessun film apocalittico sulla Raggi, stiamo facendo molte cose per la città», ripeteva a inizio febbraio, dopo l’arresto di Marra e l’iscrizione della sindaca nel registro degli indagati.

Gli esordi nel cremasco
Classe 1974, Toninelli è nato a Soresina, in provincia di Cremona, ed è il punto di riferimento degli attivisti di una rete sul territorio che arriva fino a Brescia, dove si è laureato in giurisprudenza nel 1999. Fino al 2002 è stato ufficiale di complemento nei Carabinieri. Occhialetti da studioso, sempre impeccabile senza risultare stucchevole come Di Maio, ripete fino allo sfinimento che i politici devono recuperare la coerenza tra vita pubblica e vita privata, comportamenti collettivi e dimensione personale. Fa parte della folta schiera di persone che si è avvicinata al Movimento (è il fondatore del gruppo cremasco) attratta dai richiami via blog sul rispetto dell’ambiente e sulla necessità di cambiare i paradigmi sull’economia e sull’energia partendo da sé e dal proprio quotidiano. Allergico al politichese ma puntiglioso e attento ai dettagli tecnici (in tv funziona anche per questo, come lo staff comunicazione del M5S ha capito subito), è attaccatissimo alla sua famiglia. Non è raro che mostri con orgoglio dal suo telefonino le foto della moglie e dei due bimbi, che vivono a Ticengo, dove corre ogni volta che può: «Sono loro che contano».

Il «parto» del Democratellum
Di lombardo ha rigore e laboriosità: secondo le rilevazioni di Openpolis, è 86° su 630 deputati per indice di produttività parlamentare e ha il 71% di presenze alle votazioni elettroniche. A ottobre 2013, pochi mesi dopo essere entrato in Parlamento – incoronato alle parlamentarie per la circoscrizione Lombardia 3 con 144 voti – Toninelli ha depositato come primo firmatario la proposta di legge elettorale grillina, il cosiddetto “Democratellum”, poi in parte rivisto: un proporzionale fortemente corretto, con le preferenze, in cui sono vietate le candidature plurime ed è previsto un doppio sbarramento. In 33 circoscrizioni su 42 totali, a base pluriprovinciale, che assegnano il 60% del totale dei seggi, lo sbarramento naturale è al 5%. Nelle altre 9 è inferiore al 5.

Dall’isolamento alla trattativa
Altri tempi. Dopo la feroce opposizione all’Italicum e la sentenza della Consulta che ha bocciato il ballottaggio, i Cinque Stelle hanno abbandonato il Democratellum e virato verso il Legalicum – l’applicazione del sistema uscito dalla Corte, esteso anche al Senato senza i capilista bloccati - per andare subito al voto. «È l’unica legge costituzionale di cui disponiamo», spiegava Toninelli fino a qualche settimana fa. Poi sono cominciate le aperture al Pd, che hanno mandato in soffitta le dichiarazioni perentorie post-referendum («Non ci siederemo mai a nessun tavolo sulla legge elettorale») e che sono culminate con il “sì” al modello tedesco ratificato via blog domenica scorsa. All’italiana, però: niente preferenze, voto unico, collegi uninominali e listini corti proporzionali. Fino alla giravolta principe: astenersi in commissione, ieri, nel voto sugli emendamenti che proponevano voto disgiunto e preferenze con questa motivazione, messa agli atti proprio da Toninelli: «Nel merito, il M5S è a favore del voto disgiunto, ma si deve tenere conto anche dei motivi politici». La svolta trattativista è segnata, il dado è tratto. Diventa un ricordo lontanissimo quello di gennaio 2015, quando il deputato tuonava in Aula alla Camera contro «il Parlamento di nominati» che sarebbe stato prodotto dall'Italicum.

Il sogno del ministero delle Riforme
Ovvio lo sconcerto tra i parlamentari grillini (e tra quelli che temono di non essere ricandidati). Nel mirino è finito lui, Danilo, accusato di essere stato spedito a trattare con Pd, Fi e Lega, senza rendersi conto di quel che trattava. In realtà il mandato era preciso, come dimostra l’intervento di Grillo dal blog che ha richiamato i dissidenti a rispettare la volontà degli iscritti. Un altro punto a favore di Toninelli. Non è un caso che sia indicato come il più papabile ministro delle Riforme in un ipotetico governo Di Maio. Ha due requisiti fondamentali: competenza - peraltro “nuova”, come piace ai Cinque Stelle - e fedeltà. E nessuno meglio di lui incarna la metamorfosi M5S: archiviati i “vaffa” e le provocazioni, è giunto il tempo di scommettere su chi studia e sa dialogare. Obiettivo Palazzo Chigi. Costi i mugugni che costi.

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