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IL COLLOQUIO

Intervista a Di Maio: «Investimenti, giù l’Iva, basta sgravi a pioggia»

Non aumentare ma semmai diminuire l’Iva, «la più regressiva delle imposte». Rivedere il fisco in senso progressivo, abbandonando al contempo gli sgravi a pioggia. E basta con l’austerity: serve un piano di investimenti pubblici in infrastrutture e settori che garantiscano occupazione e innovazione, supportato da una banca pubblica ad hoc. Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato premier in pectore del Movimento Cinque Stelle, raccoglie l’invito del direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili a chiarire le priorità programmatiche che motiverebbero la corsa al voto. Un’occasione per sintetizzare gli interventi che, sostiene Di Maio, il M5S ha in cantiere «da anni»: «Un reddito di cittadinanza pensato come misura di sostegno e di reinserimento attivo nel mondo del lavoro, un piano di investimenti pubblici nei settori innovativi e ad alto ritorno occupazionale, l’alleggerimento del carico fiscale per le Pmi, il rilancio della sanità pubblica e più in generale dei beni comuni, sottraendoli alla logica del profitto e delle privatizzazioni». Senza arretrare sulle elezioni in autunno: «Bisogna andare a votare per costruire un’Italia che tenga insieme il lavoro, il sostegno ai più deboli, la piccola e media impresa, l’ambiente e la salute. In poche parole il benessere sociale».

Renzi dice: votare a settembre o a marzo non cambia nulla per i cittadini, l’importante è non sprecare l’opportunità di fare la legge di bilancio e abbassare le tasse. Voi continuate a pensare che sia meglio fare l’accordo sulla legge elettorale e votare subito in autunno?

È da dicembre che diciamo che bisogna permettere agli italiani di esprimersi. E prima abbiamo una legge elettorale prima si va al voto e meglio è. Devono smettere di giocare sulla pelle dei cittadini italiani e tenerli ostaggio, il Paese ha bisogno di ripartire veramente con provvedimenti del tutto diversi da quelli fatti finora da questi governi non eletti da nessuno. Penso al lavoro, alle fonti energetiche e all’ambiente, ad esempio, ma potrei continuare sulla sanità pubblica o sull’anticorruzione.

Il patto sulla legge elettorale va avanti?

Non è un patto, è una trattativa che i nostri di Affari costituzionali stanno portando avanti con attenzione. Va avanti perché vogliamo evitare che il Paese abbia una nuova legge incostituzionale.

Il debito pubblico resta il nostro principale punto critico e servono ricette chiare per ridurlo anche per evitare di entrare nel mirino dei mercati: cosa pensa della proposta di Visco di abbatterlo sotto il 100% in dieci anni grazie a un avanzo primario del 4%?

Surplus primario significa che le entrate dello Stato superano le uscite se da queste ultime si toglie la spesa per interessi. Un Paese vicino al 12% di disoccupazione ufficiale (il dato reale è molto più alto) non può permettersi di sottrarre risorse all’economia per altri 10 anni a un ritmo del 4% del Pil ogni anno. L’Italia è in surplus primario da 25 anni e abbiamo visto i risultati. La teoria economica dominante che crede nell’“austerità espansiva” è in profonda crisi e ha fallito nel rispondere alla crisi iniziata nel 2008. Serve un nuovo approccio: il rapporto debito/Pil si abbatte se cresce il Pil. Torniamo a investire nei settori produttivi, ad esempio con una banca pubblica d’investimento, e sosteniamo i redditi più bassi. In questo modo il debito si ripagherà da sé producendo crescita dell’occupazione e dell’economia. L’austerità è una medicina che sta uccidendo il paziente Italia.

Concorda con la proposta del presidente di Confindustria Boccia di un patto per la crescita incentrato sull’azzeramento del cuneo fiscale per l’assunzione di giovani?

Siamo naturalmente favorevoli a ogni seria misura che abbatta strutturalmente il cuneo fiscale. Il problema è che finora lo si è fatto malissimo. Innanzitutto perché il Governo Renzi ha speso quasi 20 miliardi per una decontribuzione temporanea, scaduta dopo soli 3 anni. In questo modo si creano solo bolle di finta occupazione che poi si sgonfiano appena gli incentivi non ci sono più. È quello che è successo col Jobs Act dal 2016. E poi in questi anni si è tentato di abbattere il costo del lavoro puntando tutto sulla riduzione dei salari invece che sulla riduzione strutturale delle imposte. La sfida è ottenere una riduzione della pressione fiscale innescata dal ritorno alla crescita. E perché la crescita torni sono fondamentali i consumi dei lavoratori. Se diamo loro un salario da fame o un contratto precario, perché mai dovrebbero spendere? Tutti sanno, tranne Renzi, che il lavoro si crea con gli investimenti, non con le norme. La migliore risposta al disastro del Jobs Act è un piano di investimenti pubblici produttivi, in grado sia di creare occupazione diretta che di stimolare gli investimenti privati. Un circolo virtuoso di investimenti e occupazione. Il Jobs Act va abrogato.

Al di là delle coperture, l’obiezione principale mossa al reddito di cittadinanza, da Papa Francesco a Renzi, è che bisognerebbe tutelare il lavoro e non il reddito. Non temete di inserirvi con un effetto distorsivo nelle dinamiche tra domanda e offerta di lavoro?

Il Papa non ha mosso una critica alla nostra proposta sul reddito di cittadinanza, ha detto che «l’obiettivo da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti, perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti». Su questo siamo perfettamente d’accordo: la nostra proposta va esattamente in questa direzione. È una misura che favorisce l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro prima di tutto. Contemporaneamente garantisce a tutti i cittadini di avere un reddito al di sopra della soglia di povertà. Quindi no, nessun timore di effetti distorsivi, tutt’altro.

Più concorrenza e liberalizzazioni, un programma straordinario di investimenti pubblici, ulteriori incentivi fiscali per gli investimenti delle imprese. Che grado di priorità riconosce a queste misure per il rafforzamento della crescita?

Come detto la priorità assoluta è un piano di investimenti pubblici in infrastrutture e settori che garantiscano nuovi posti di lavoro e innovazione. Pensiamo ad esempio agli investimenti nelle rinnovabili. Attraverso questo piano si rilanciano occupazione e domanda interna e quindi anche i profitti delle imprese private, che torneranno ad investire nell’economia. Lo Stato dovrà gestire il processo e garantire degli sgravi fiscali selettivi laddove servano veramente. Basta sgravi a pioggia. Sulle liberalizzazioni siamo favorevoli, a patto che non si traducano in privatizzazioni di fatto. Vedremo caso per caso dove intervenire, ma si tratta di un altro tema prioritario.

Bisogna sterilizzare le clausole di salvaguardia fiscale o far aumentare l’Iva e avere più risorse per lo sviluppo? Si può ridurre la spesa pubblica per abbassare le tasse? Qual è la vostra “filosofia” fiscale e di bilancio tenendo conto dei vincoli di finanza pubblica?

Le clausole di salvaguardia sono la soluzione che una classe politica ipocrita ha trovato per tenere in piedi delle leggi finanziarie prive di coperture. L’Iva è la più regressiva delle imposte e va semmai diminuita. La nostra filosofia fiscale è fondata su due pilastri: revisione della spesa pubblica, con lo spostamento di miliardi di euro dagli sprechi alle spese utili, e piano di investimenti produttivi finanziato sia dalle flessibilità di bilancio che ci spettano che da una revisione della fiscalità in senso progressivo, come vuole la nostra Costituzione.

Quale ruolo dovrà giocare l’Europa? Siete ancora convinti che bisogna dire addio all’euro?

L’Europa diventi Europa dei popoli e della democrazia o non serviranno i cosiddetti populisti per distruggerla, perché lo farà da sé. Le priorità sono molte e noi le abbiamo già indicate con i nostri 7 punti per l’Europa: abolizione del Fiscal Compact, adozione degli eurobond, alleanza tra Paesi mediterranei per una politica comune, investimenti in innovazione esclusi dal limite del 3% annuo deficit/Pil, finanziamenti per attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni, abolizione del pareggio di bilancio. Con questi passi in avanti si rimette in carreggiata il progetto comunitario e si può iniziare a ragionare con più calma sull’Europa che vogliamo. Ma se proposte di buon senso come queste non venissero accolte, nemmeno in parte, cosa dovremmo fare? I tecnocrati europei avrebbero decretato la fine del progetto comunitario e noi dovremmo considerare l’uscita dalla moneta unica come un’opzione obbligata, ma su questo dovranno decidere i cittadini.

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