L’accordo tra Pd, Forza Italia e M5s sul sistema elettorale di ispirazione tedesca (ma con molte varianti rispetto a quello vigente in Germania) contenuto nel testo del relatore Emanuele Fiano sembrava blindato. Ieri sono spuntate però le forti perplessità dell’ala ortodossa dei Cinquestelle (Roberto Ficoha detto apertamente che «l'accordo non è scontato» e la senatrice Paola Taverna ha addirittura definito il testo dell’intesa un «megaPorcellum»), alle quali si sono aggiunti anche dubbi all’interno Pd, oltre alle forti fibrillazioni dei piccoli partiti (da Ala a Mdp ad Ap), che in mancanza di solide convergenze e fusioni rischiano di essere tagliati fuori dalla soglia di sbarramento del 5%. E dubbi sulla tenuta del patto con il M5s sarebbero stati avanzati in via riservata perciò dal segretario dem Matteo Renzi.
Grillo difende «tedesco»: hanno già deciso iscritti
Ma a riportare i parlamentari «ribelli» M5s all’ovile e a confermare la linea dell’accordo ci ha pensato ancora una volta Beppe Grillo in persona, che in un post sul blog ha ricordato che il modello tedesco (pur non essendo «il nostro modello ideale») «è stato votato a stragrande maggioranza dai nostri iscritti con oltre il 95% delle preferenze». Di qui il monito rivolto a i portavoce del MoVimento 5 Stelle a «rispettare questo mandato perché il testo depositato in commissione mercoledì sera (dal relatore Emanuele Fiani, ndr) corrisponde al sistema votato dai nostri iscritti: proporzionale con 5% di sbarramento e divisione tra seggi proporzionali e collegi uninominali con predominanza dei primi per assegnare i seggi. Anche se, «come gli iscritti hanno deciso, stiamo cercando di inserire alcuni correttivi di governabilità che possano evitare il grande inciucio post elettorale». Correttivi che «potrebbero permettere ad un solo partito di avere la maggioranza dei seggi in Parlamento raggiungendo circa il 40% dei voti». Ma che non sembrano indispensabili per il via libera del M5s alla legge.
Il patto a tre sembra reggere, insomma. Almeno per ora. Ma le fibrillazioni preoccupano i vertici dem, che non sottovalutano le insidie dei voti segreti in Aula. Per il Pd la presenza del M5s è indispensabile. Qualora i Cinquestelle si sfilassero, Renzi non sarebbe disposto ad andare avanti con il solo Berlusconi.
Approdo in Aula slittato e tensioni nel M5s
Intanto è slittato di un giorno il voto in Aula, ora previsto per martedì 6 giugno. I sub emendamenti potranno essere presentati sabato mattina e si voterà per tutto il week end e, se serve, lunedì. I grillini stanno mettendo a punto le loro proposte di modifica (tra questi uno per consentire il voto disgiunto e un altro per attribuire un premio di governabilità), ma nel partito di Grillo c’è chi mette apertamente sotto accusa le modalità di scelta dei parlamentari che nel testo dell'emendamento presentato del relatore Emanuele Fiano ripropone di fatto i capilista bloccati, che prevalgono anche sui vincitori nei collegi uninominali. Per un partito che si era scagliato contro il Parlamento dei nominati e per le preferenze (chieste anche da Ap) è una scelta difficile da far digerire a tutti. Il post odierno di Grillo punta proprio a far rientrare nei ranghi i «malpancisti».
Veltroni, con il proporzionale ritorno agli anni ’80
Ma il testo Fiano non piace neanche a settori del Pd. A cominciare da un padre nobile come Walter Veltroni, che in un’intervista al Corriere della Sera ha attaccato: «Non è il sistema tedesco. Non c'è la sfiducia costruttiva. Ci sono 5 anni di fibrillazione e lacerazioni interne ai partiti, che con il proporzionale si sentiranno liberi di fare tutto quel che vogliono. C'è il trionfo del trasformismo. Sono molto preoccupato dal fatto che il mio Paese torni agli anni '80». E ancora: «La prospettiva di un governo Pd-Fi è un errore gravissimo, rischia di alimentare la protesta. Stavolta lo dico io: voglio un Paese in cui la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto. E lo dicono anche Romano Prodi e Arturo Parisi. Per il Pd la costruzione di due schieramenti tra loro alternativi è la condizione della sua esistenza». Così pure nella sinistra Pd c’è chi come il senatore del Pd Vannino Chiti parla di «'mini-porcellum' in finta salsa tedesca». E rincara la dose: «Dire che con questa legge elettorale i cittadini scelgono i loro rappresentanti in Parlamento sarebbe un'offesa al senso comune».
Critico anche Enrico Letta: «Si torna indietro perché si gioca una partita su una legge elettorale peggio della Prima Repubblica, quando almeno si potevano scegliere i parlamentari - dice l'ex premier - mentre questa volta nemmeno questo potrà essere concesso agli elettori italiani».
Il maxiemendamento Fiano
Il «tedeschellum» presentato dal relatore Emanuele Fiano ha adottato due elementi del sistema originale tedesco: la soglia al 5% per entrare in Parlamento e la ripartizione proporzionale su base nazionale dei seggi. Ma in Germania la scheda elettorale è divisa in 2 parti perché 2 sono i voti: con il primo l'elettore sceglie il parlamentare del collegio uninominale; con il secondo la lista e i deputati ad essa associati. È possibile il voto disgiunto.
La versione italica del tedesco invece non consente il voto disgiunto. Non solo. In Germania chi vince in un collegio uninominale va sicuro in Parlamento. In Italia invece la certezza ce l'ha solo il primo del listino bloccato. Sono loro infatti i primi ad ottenere l'attribuzione del seggio e solo dopo i vincitori dei collegi uninominali. A decidere ancora una volta sono le segreterie di partito che certamente nel listino bloccato tenderanno a indicare al primo posto i loro fedelissimi.
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