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Cassazione: per Riina il diritto alla morte dignitosa. Rischio ricorsi…

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L’ULTIMA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Cassazione: per Riina il diritto alla morte dignitosa. Rischio ricorsi per il 41bis

(Agf)
(Agf)

Due boss di Cosa nostra, due valutazioni della Cassazione che rischiano di aprire strade opposte alla carcerazione dura. Per l’uno, Bernardo Provenzano, morto il 13 luglio 2016 nel reparto adibito ai detenuti dell'ospedale San Paolo di Milano, il carcere duro non era incompatibile con la sua situazione di salute, ma al contrario era «fondamentale» per farlo sopravvivere.

L'altro, Totò Riina, alla pari di ogni altro detenuto, deve avere il diritto «a morire dignitosamente», a maggior ragione alla luce del fatto che le sue condizioni di salute sono a dir poco precarie. Ragion per cui il Tribunale di sorveglianza competente territorialmente, ha deciso la Cassazione, sarà chiamato a rivalutare la compatibilità o la sussistenza dei presupposti per il differimento della pena, lasciando il 41 bis.

Come se non bastasse si apre ora un varco per decine di reclusi al 41 bis (il carcere duro) che per questioni legate allo stato di salute possono appellarsi al fresco precedente di Riina.

Il 9 giugno 2015 la suprema Corte di Cassazione aveva bocciato il ricorso di “zu Binnu” - nell'ultimo periodo affetto, oltre che da tumore alla prostata, da decadimento cognitivo grave, ipertensione arteriosa, infezione cronica del fegato - perché il carcere duro è «fondamentalmente incentrato sulla necessità di tutelare in modo adeguato il diritto alla salute del detenuto». Se avesse lasciato il reparto ospedaliero del San Paolo di Milano per raggiungere un reparto comune, sarebbe stato a «rischio sopravvivenza», per la «promiscuità» e le cure che venivano invece dedicate.

Gli avvocati del boss avevano fatto ricorso alla Suprema Corte contro il ricovero nella camera ospedaliera di massima sicurezza chiedendo che fosse spostato ai domiciliari in un reparto di lungodegenza dell'ospedale San Paolo.

L'11 luglio 2016, due giorni prima della morte, il giudice di sorveglianza di Milano 2 aveva respinto una nuova istanza di differimento pena per Provenzano (vale a dire che la pena va scontata ai domiciliari o in altro luogo di degenza al fine di garantire le cure o consentire una morte dignitosa) dell'avvocato Rosalba Di Gregorio che chiedeva la scarcerazione del boss o la revoca del carcere duro. I «trascorsi criminali e il valore simbolico del suo percorso criminale» avrebbero potuto esporlo «qualora non adeguatamente protetto nella persona» e «trovandosi in condizioni di assoluta debolezza fisica» ad «eventuali rappresaglie connesse al suo percorso criminale, ai moltissimi omicidi volontari dei quali è stato riconosciuto colpevole, al sodalizio malavitoso» di cui è stato «capo fino al suo arresto». In altre parole non era più lui ad essere un pericolo per gli altri ma lui ad essere potenziale vittima per scopi dichiarati o meno.

Sul profilo malavitoso torna la Cassazione nella decisione che coinvolge Riina, boss ottantaseienne. «Fermo restando lo spessore criminale», afferma infatti, «va verificato se Totò Riina possa ancora considerarsi pericoloso vista l'età avanzata e le gravi condizioni di salute». Si ripropone dunque il quesito che riguardò Provenzano e la contestuale necessità di garantirne la sicurezza pur in una situazione di grave salute fisica.

La richiesta, recita la sentenza 27.766 relativa all'udienza del 22 marzo per Riina, era stata respinta lo scorso anno dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso «di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico». Il Tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. La stessa che accade per Provenzano. Né più né meno.

Ansa

La Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare «se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena». Il collegio ha ritenuto che non emerga dalla decisione del giudice il modo in cui si è giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena «il mantenimento in carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa», che non riesce a stare seduto ed è esposto «in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili».

Questa decisione apre la strada ad altri ricorsi, anche in ragione della visibilità e del potere di Riina. Ricorsi che non si limiteranno soltanto ai boss in regime di 41 bis ma anche di detenuti comuni, reclusi pur in gravi condizioni di salute psichica o fisica. Molti Tribunali di sorveglianza infatti non concedono frequentemente differimenti pena legati a ragioni di salute anche gravi.

r.galullo@ilsole24ore.com

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